Luigi Bobba, il cattolico che pende a sinistra (ma non troppo)

Luigi Bobba è nato a Cigliano (Vercelli) e ha cinquantadue anni. Senatore della Repubblica, è animatore del gruppo cattolico dei cosiddetti teo-dem nel centrosinistra. E’ stato presidente nazionale delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani) dal 1998 al 2006. Autore di diverse pubblicazioni sui temi del lavoro e della formazione, ha insegnato alle Università di Torino e Salerno. E’ stato nominato dalla Cei membro del Comitato preparatorio al Convegno ecclesiale nazionale che si è svolto l’anno scorso a Verona.

 

Nota a piè pagina: che significa “teo-dem” per chi non segue le bizzarrie della politica (cioè per sessanta milioni d’italiani)?

“L’idea m’è venuta pensando ai “teo-con”, il neologismo che gli americani hanno inventato per indicare quei conservatori che danno rilievo alle grandi questioni dei valori. Anziché definirci come quelli che vogliono “rinnovare il cattolicesimo popolare democratico”, dire teo-dem mi pareva italianamente più immediato ed efficace”.

Ma lei è più “teo” o più “dem”?

“Il teo fa riferimento alle radici cristiane che ispirano la nostra azione politica: la sorgente. Il dem pone il tema di una nuova laicità, che non è più quella classica di ieri fra istituzioni ecclesiastiche e civili; un retaggio ottocentesco. Oggi la dimensione etica costituisce un elemento portante della democrazia. Giovanni Paolo II ricordava che, senza valori, la democrazia precipita nel totalitarismo. Il teo non può fare a meno del dem, e il dem ha bisogno del teo”.

Parola di cattolico, perché un non credente direbbe che…

“No, non è più così. Barack Obama, che si candida a strappare il consenso dei democratici per aspirare alla Casa Bianca, ha detto quel che segue: è un assurdo pratico pensare che quei valori che guidano la vita delle persone, non siano importanti anche nel vivere comune. Secondo un certo laicismo, viceversa, questi valori dovrebbero essere espulsi, confinati in una dimensione privata, perché nel pubblico se ne potrebbe o dovrebbe fare a meno. Io credo che oggi anche il punto di vista religioso e finalistico debba poter avere il suo spazio politico, dispiegando il suo carico di passioni e di sentimenti”.

La sua piccola pattuglia ha impallinato, di fatto, il testo governativo dei Dico al Senato. Qual è stata l’arma segreta della guerra birichina?

“Due errori hanno commesso quelli che volevano regolare le unioni di fatto con tale provvedimento: averne fatto una bandiera politica e ideologica, che ha determinato una reazione eguale e contraria. E aver immaginato un istituto alternativo alla famiglia, che è un baluardo della Costituzione. La famiglia non può essere sfregiata, come se gli articoli della nostra legge fondamentale fossero acqua fresca. E il matrimonio è quello: uomo e donna”.

Ma alla coppia omosessuale voi riconoscereste tutto, fuorché il matrimonio oppure niente, neanche il matrimonio?

“Ci sono diritti individuali da tutelare, come la possibilità di assistere il proprio compagno in ospedale o di subentrargli nell’affitto? Nessun problema. Se ci sono diritti o nuovi bisogni da assicurare, io non sono contrario. Né mi oppongo a dare una coerenza normativa a singoli provvedimenti presi della magistratura. Facciamo un’indagine seria -ripeto: seria- sulle situazioni di fatto e legiferiamo. Ma per dare tutela ai singoli in quanto persone, non in quanto coppie. L’unica coppia su cui legiferare, e che invece è colpevolmente dimenticata, è quella indicata dalla Costituzione, e si chiama matrimonio. E poi sa che le dico?…”.

Dica…

“Che le cosiddette famiglie mono-parentali sono quattro volte superiori alle coppie di fatto: indagine Istat. Se il legislatore deve tutelare le nuove forme di vita in comune che naturalmente si creano in una società che cambia, la ragazza madre o il padre col bambino, o la donna sola con più figli hanno la precedenza”.

Per chi voterà alle prossime primarie del Partito democratico?

“Per Walter Veltroni”.

Il laico Veltroni? Ah già, la cattolica Rosy Bindi è stata co-autrice dei Dico…

“No, non ne faccio proprio una questione “confessionale”, e ho molto rispetto, tra l’altro, per Rosy. Bisogna vedere se chi guiderà il Pd, saprà porsi la questione dei valori: un “ritorno” moderno alla questione cattolica. Anche perché in due anni (sondaggio promosso dalla Margherita) le intenzioni di voto dei cattolici praticanti per il centro-sinistra sono calate dal 44 al 26 per cento. Guardacaso proprio nel periodo delle polemiche tra referendum sulla fecondazione artificiale e legge sui Dico. Ora bisogna riprendere i consensi perduti”.

Con Veltroni?

“Il mondo cattolico lo gradisce. Lo percepisce come uno che non ha pregiudizi anti-clericali, per intenderci”.

A proposito dell’evocata Margherita: com’è che il suo leader, Francesco Rutelli, da radicale qual era è diventato un baciapile?

“Non è diventato baciapile, ma ha recuperato un tratto di storia personale, rileggendola anche in chiave politica. Rutelli non è un tattico, è un uomo che ha delle salde convinzioni. Tant’è che è stato l’unico leader del centro-sinistra a esporsi contro il referendum sulla fecondazione artificiale, cogliendo le paure e le incertezze proprio di quel mondo che non ama il radicalismo”.

Perché un teo-dem sta a sinistra?

“Direi che la mia vicenda personale e associativa con le Acli mi ha portato quasi naturalmente alla difesa dei diritti di chi lavora e dei più deboli. Una tipica scelta di centro-sinistra”.

Con Silvio Berlusconi mai, o mai dire mai?

“In Italia il centro-destra è dominato dal populismo mediatico di un leader che ha avuto cinque anni di governo per dare un futuro al Paese. Una straordinaria occasione persa. Berlusconi non interpreta la domanda di cambiamento né lo spirito di moderazione che forse un centro-sinistra riformatore potrà finalmente assicurare agli italiani”.

E con Pierferdi, alias Casini, che si può fare?

“Ci sono elementi che ci accomunano. Soprattutto al Nord, il Pd avrebbe dovuto pensare a possibili alleanze con i moderati del centro-destra, creando qualcosa di simile alle coalizioni degli anni Sessanta e Settanta. Invece oggi i due schieramenti sono imprigionati dagli estremi, comunisti e leghisti. Si rincorrono le ali, anziché il centro, dove la competizione sarebbe più coesa e perciò capace anche di realizzare le riforme. Bisogna arrivare a cinque o sei partiti in tutto: la gente vuole semplificazione”.

Neanche quando c’era la Democrazia cristiana, la Chiesa è stata così presente e pressante sulla politica italiana come lo è oggi. Che spiegazione dà del paradosso?

“Io penso che la Chiesa avverta una necessità: che non si disperda la presenza pubblica dei cristiani in Italia. E poi oggi c’è un maggiore protagonismo dei laici cristiani. Ma non è il tempo di nuovi partiti cattolici o di ispirazione cristiana”.

Come si diventa cattolici, in un Paese che si va sempre più secolarizzando?

“Io lo sono diventato per tradizione familiare, e perché ho incontrato delle persone che mi hanno consentito di maturare la fede personale, vivendola nell’impegno sociale e comunitario. La fede è sempre affascinante, e orienta la vita. Dunque, i luoghi e le persone sono importanti per scoprire questo mistero”.

La cosa più bella che ha fatto con le Acli?

“Forse la scuola professionale costruita in Mozambico. Si chiama “Estrela do Mar”, stella di mare”.

Ma si fa più politica -intesa nel suo più alto significato-, con le Acli o al Senato?

“Con le Acli si può seminare molto. In Parlamento si trova la sintesi delle tante domande”.

Com’era madre Teresa di Calcutta “vissuta” da vicino?

“Colpiva l’intensità della sua vocazione. La forza di una semplicità che quasi ti “costringeva” a prendere degli impegni”.

E i due Papi, Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger?

“Il primo è stato un Papa dei gesti. L’attuale è un Papa della parola e dell’insegnamento. Li univa la capacità di far vivere l’esperienza della fede in una società che cambia rapidamente e radicalmente”.

In pagella che voto assegnerebbe al rilancio della messa in latino da parte del Papa tedesco?

“Sei più”.

Così avaro?

“Non considero la cosa strategica per il futuro, ma una mossa intelligente per venire incontro alle esigenze di chi questo chiedeva”.

Quanto dura il governo-Prodi?

“Dura, dura perché non c’è alternativa al suo veleggiare”.

Ha detto “galleggiare”, giusto?

“No, ho detto “veleggiare”. Anche se per veleggiare bisogna galleggiare…”.

A suo tempo Prodi s’era definito un “cattolico adulto”. Chi sono i cattolici adolescenti?

“Non mi sono mai riconosciuto in quella definizione. Io sono per la trasparente testimonianza dei valori in politica. Però mai tirerei in ballo la Chiesa per giustificare la laicità della mia scelta. Mai ripararsi dietro di lei, e mai nascondere la propria differenza nella società: ecco l’autonomia dei cattolici in politica”.

Ma i teo-dem sono per un Islam in Italia o per un Islam italiano?

“Per un Islam italiano. Perché si integri, liberamente, nella storia del nostro Paese”.

Come pensa che sarete accolti nel Partito democratico?

“Intanto saremo noi a chiedere ai tre candidati più forti -Veltroni, Bindi e Letta- di accogliere la carta dei valori che abbiamo appena elaborato, e che presenteremo all’appuntamento”.

Diranno tutti che va bene, o no?

“Non do scontato mai nulla, in politica. Anche perché i tre impegni da sottoscrivere non sono affatto generici. Il primo è la richiesta che il tema della libertà venga considerato in una prospettiva della persona. Altrimenti avremo solo la deriva dei diritti individuali come un assoluto; quasi che la libertà non dovesse presupporre che gli uomini vivono di relazioni”.

La seconda spina nel fianco?

“L’etica del limite rispetto alla tecnoscienza, per evitarne l’incontrastato dominio. E poi il mercato. Chiederemo che il mercato non diventi una semplice allocazione di denaro, ma sia ispirato da una visione umanistica. Come lo fu nel Quattrocento e nel Cinquecento, quando i cattolici rappresentavano l’elemento di umanizzazione. Questo è fondamentale per l’equità tra le generazioni”.

Basta coi vecchi in politica?

“Le risorse pubbliche sono distribuite in un modo sempre più sfavorevole ai giovani. La società li snobba, colpevolmente, perché manca una vera politica per la famiglia. I giovani sono i nuovi poveri della modernità”.

Pubblicato il 26 agosto 2007 sulla Gazzetta di Parma