Il professore studia Marte e la Luna ma punta sulla Terra: l'”orbita” di Sergio Vetrella nello Spazio

Sergio Vetrella è presidente del Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (Cira) dal 1999. Nato a Napoli, cinquantanove anni, è professore ordinario di Impianti Aerospaziali alla Facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II di Napoli. Dall’anno scorso presiede anche il Garteur (Group for Aeronautical Research and Technology in Europe), accordo inter-governativo fra i principali Paesi europei interessati al settore aeronautico; il professore è membro delegato dal governo italiano dal 2000. Autore e co-autore di decine di pubblicazioni, è stato presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). E componente, nominato dalla Nasa, del gruppo scientifico per la missione spaziale Cassini, sonda interplanetaria inviata su Saturno. 

 

Prima di cominciare: lei crede ai marziani?

“Marziani intesi come abitanti evoluti di Marte? No. Ma se intesi come altre forme di vita nell’Universo, sì. Dovunque abbiamo rivolto il nostro sguardo sulla Terra, dalle profondità dei mari alle vette più alte fino ai deserti, abbiamo trovato forme di vita, di quella vita che “noi conosciamo”. Ma chi può affermare che non esistano “altre forme di vita” a noi del tutto sconosciute? Ed in un universo con miliardi di astri, chi potrebbe essere così presuntuoso da pensare di “essere solo”? In verità, personalmente mi sentirei molto solo, immaginandomi sperduto su un granellino come la Terra, in viaggio in un immenso Universo”.

Allora non c’è vita come noi l’intendiamo su Marte, o questa è tutta un’altra storia?

“E’ tutta altra storia. Forse, com’è avvenuto sulla Terra dove con il passare degli anni abbiamo scoperto nuove forme di vita, in futuro non solo potremo scoprire forme di vita, come noi la conosciamo, ma anche altre per noi, oggi, del tutto inconcepibili”.

Previsione (tanto, un domani, nessuno ci rinfaccerà l’eventuale abbaglio): quand’è che l’uomo potrà vivere sul pianeta rosso?

“Penso che il cammino sarà lungo, e, se per vivere si intende i primi esploratori, almeno trent’anni”.

E sulla Luna?

“Sulla Luna è diverso. Sia per la breve distanza dalla Terra, sia per le condizioni ambientali, sia per le conoscenze già acquisite, degli avamposti potrebbero essere creati entro dieci-quindici anni. Il vero problema è rispondere alle domande: a quale scopo e perché l’uomo e non dei robot, che per quella data potrebbero essere estremamente sofisticati”.

Da quando l’abbiamo conquistata, anno 1969, la Luna sembra aver perso un po’ del suo fascino. O succede perché in realtà non la conosciamo ancora bene?

“Le avventure spaziali con astronauti sono molto costose, almeno fino a quando si troveranno mezzi più economici ed efficienti per il lancio dalla Terra. Dopo la corsa tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica alla “conquista” della Luna, il volo dell’uomo nello spazio è divenuto “normale” per il grande pubblico. Per cui alla mancanza di risultati significativi, si è aggiunto anche il diminuirsi dell’interesse dei media”.

Perché gli americani hanno questa “frenesia dello spazio”, in una Terra che non ha tuttora risolto problemi planetari come la fame, i terremoti, i maremoti, la siccità e così via?

“Non sono solo gli Stati Uniti, ma molti altri ad avere la “frenesia dello spazio”. Basta ricordare la Cina, l’Europa, la Russia per ricordare i grandi, ma anche l’Argentina, il Brasile, la Corea. Se si considerano i grandi benefici derivanti oggi dallo spazio (i satelliti meteorologici, quelli per la navigazione e quelli per telecomunicazione), la risposta è ovvia. Se invece ci si riferisce all’esplorazione spaziale, io penso che sia giusto che l’uomo continui ad ampliare i propri confini, perché la storia ha mostrato che l’evoluzione dell’uomo è strettamente legata a superare le difficoltà proprie della esplorazione e che questo porta nuova conoscenza. Quindi a mio avviso il problema non è se sì o no l’esplorazione spaziale, ma quando e come, scegliendo opportunamente tra l’utilizzo di robot e quello dell’uomo”.

Quali sono le differenze, in sintesi, fra l’approccio americano, russo, cinese ed europeo alle cose dello spazio?

“Non vedo particolari differenze se non negli investimenti, nella politica industriale e nell’uso politico”.

Quanto costa volare oltre le stelle?

“Circa ventimila euro a chilo, per quanto riguarda solo il lancio”.

Noi italiani come siamo messi per capacità tecnologica, bravura degli astronauti e cordiale competizione con i fuoriclasse d’America?

“Da un punto di vista di sistema, non abbiamo un gap significativo. Da un punto di vista di sofisticazione dei componenti, ed in particolare quelli elettronici, il divario è molto marcato”.

E la scienza e la ricerca italiane quanto sono avanti? Per dirla tutta: Leonardo e Galileo, tacendo degli altri, saranno fieri o incavolati coi loro eredi contemporanei?

“A mio avviso il mondo della ricerca sta vivendo ormai da tempo una situazione di difficoltà e di deperimento culturale, a cui si affianca anche quello della scuola. Esistono fortunatamente delle punte di eccellenza, ma, in media,la tendenza è negativa. Bisognerebbe prendere coscienza che il mondo della ricerca ha bisogno di strumenti più flessibili per operare, e che la ricerca va pianificata e controllata su tempi lunghi”.

Prossima importante missione italiana?

“Il secondo volo dello Unmanned Space Vehicle del Centro Italiano di Ricerca Aerospaziale, che avrà luogo tra dicembre e gennaio. Rappresenta il laboratorio volante attualmente più sofisticato al mondo per testare un nuovo concetto di volo ipersonico ed anche una nuova tecnica di rientro dallo spazio”.

Prossima missione internazionale in grado di determinare una svolta nel pianeta?

“La nuova generazione delle costellazioni di satelliti di navigazione, che consentiranno l’evoluzione del concetto del trasporto attuale (in particolare auto ed aerei)e lo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto integrato (ad esempio la AvioCar in grado di operare come auto-elicottero ed aereo), sulla base di sofisticati sistemi automatici di guida e gestione del traffico”.

Qual è il momento più delicato per le astronavi: la partenza, il ritorno o l’orbita nello spazio?

“Ad oggi sicuramente il ritorno, in quanto il velivolo deve sopportare un enorme carico termico-strutturale a causa dell’ingresso in atmosfera ad una velocità elevata ed alle conseguenti decelerazioni”.

E per le donne e gli uomini, sotto il profilo fisico e psicologico?

“Le accelerazioni e decelerazioni e le lunghe permanenze nello spazio, senza contare le attività extraveicolari”.

Ma si potrà mai fare del “turismo nello spazio” o sarà riservato ai danarosi (e temerari)?

“E’ solo questione di tempo, ben presto sarà possibile viaggiare nello spazio a costi contenuti, permettendo lo sviluppo anche di un turismo spaziale”.

Che cosa è arrivato da lassù che non si potesse “inventare” o scoprire quaggiù?

“Ricordiamoci che le numerosissime ricadute, in termini di scoperte provenienti dalla ricerca spaziale, sono tutte venute da ”quaggiù”. Ma affrontare un ambiente ostile come lo spazio, ha costretto a “inventare” nuove soluzioni: sono così nate la risonanza magnetica, i personal computer, alcuni materiali e processi di fabbricazione. Bisogna però dire che, da “lassù”, sono ricadute altre scoperte importanti che hanno cambiato la nostra vita come le previsioni meteorologiche, le comunicazioni via satellite, la navigazione e altro. E che hanno contribuito anche all’inizio di una migliore conoscenza degli astri e del cosmo in generale”.

Lei quando ha messo, per la prima volta, il nasino all’insù? E per guardare che cosa: la luna, il sole o le stelle?

“Le stelle: avevo dieci anni quando, andando a caccia, una notte stupenda d’estate in montagna mio padre mi spiegò che quella luce palpitante delle stelle che vedevo in quel momento, era partita milioni di anni prima ed aveva camminato nel vuoto portando fino ai miei occhi la storia di un lontano passato. Fu quel giorno, quella notte che cominciai a proiettarmi verso lo spazio, sperando di raggiungere la “velocità della luce”.

Quando l’uomo è sbarcato sulla Luna per lei è stato come quando Cannavaro ha alzato la coppa del mondo per noi?…

“Sono emozioni completamente diverse: non penso che “voi” giochiate a pallone. A quel tempo invece io avevo iniziato ad allenarmi, ero iscritto alla Facoltà di Ingegneria e sognavo la conquista dello spazio ed un motore in grado di far raggiungere all’uomo la velocità della luce. Quel giorno, all’emozione per l’evento, seguì lo sconforto di un giovane: ci sarà, alla fine dei miei studi, ancora spazio per me nello spazio? La vita mi ha mostrato che lo spazio della conoscenza è veramente vastissimo, e che, allo stato attuale, vi è tanto da fare perché la scienza nuota ancora in un mare di ignoranza: tutti gli interrogativi di base della nostra conoscenza sono ancora senza risposta”.

Si può dire che il cielo sia diventato il suo ufficio quotidiano. Lei di che colore lo vede?

“Cambia colore di continuo, dai mille colori dell’alba mentre vola un aereo, al rosso del rientro di uno Shuttle, al bianco intenso degli anelli di Giove fino all’azzurro della Terra vista da Saturno”.

Ha mai avuto voglia di infilarsi in un’astronave e abbandonare per sempre questa Terra di gente che spesso non si ama?

“No, perché comunque sia io amo questa gente, amo l’amore che è in ognuno di noi, gli sguardi dei bimbi innocenti che soffrono, l’intelligenza contro la stupidità, la pace contro la guerra, la ragionevolezza contro la cocciutaggine, la volontà di migliorare contro la resa alle difficoltà della vita, il sogno contro l’abbandono alla realtà del quotidiano. Per questa ragione resto in questa Terra, in questa Italia, in questa regione Campania ed in questa Napoli. Nonostante tutto il negativo che è sotto i miei occhi, continuerò a credere nel futuro, continuerò a credere nello sguardo dei giovani, continuerò a credere in una nuova civiltà”.

Chi è stato il suo mito stellare?

“Mio padre”.

La Nasa celebra Marco Polo e Cristoforo Colombo come i precursori dello spazio. Qual è il valore di questa affascinante continuità?

“Ogni esploratore è un precursore dello spazio; ed esplorare non vuol dire solo “viaggiare”, ma anche avere la curiosità continua della conoscenza”.

Ma tutte queste catastrofiche preveggenze sul clima che ci travolgerà, quanto sono scienza e quanto propaganda?

“La scienza è scienza quando i principi sono universalmente riconosciuti. In questo caso non mi risulta tale convergenza di opinioni nel mondo scientifico, in un settore in particolare dove non abbiamo modelli accurati o serie storiche credibili”.

Le vere insidie, domani, arriveranno dal mare, dal cielo o, ancora, dalla terra?

“Le insidie all’uomo arrivano da ognuno dei quattro ambienti in cui ormai vive: il primo la terra, il secondo l’acqua, il terzo l’atmosfera ed il quarto infine, il più recente, lo spazio. Per ognuno di questi l’uomo deve migliorare le proprie conoscenza per ridurre gli effetti devastanti su tanta povera gente”.

Tre consigli a un giovane che volesse diventare astronauta…

“Innanzitutto cercherei di capire se aspira a diventare astronauta per desiderio di conoscenza o per desiderio di notorietà. Nel secondo caso non potrei che spiegare che ormai la notorietà dura molto poco ed è abbastanza limitata. Nel primo gli suggerirei di studiare ed acquisire una buona conoscenza scientifica, di considerare di fare eventualmente l’astronauta solo come un piccolo passo di quanto costruire nella vita, ed infine di trovare la propria aspirazione nella ricerca e nella conoscenza”.

Ma gli direbbe di puntare sulla Luna o su Marte?

“Gli direi di puntare sulla Terra”.

Pubblicato il 12 agosto 2007 sulla Gazzetta di Parma