L’arma segreta dell’economia italiana? Il risparmio delle famiglie. Parla Andrea Monorchio, l’uomo che tiene i conti dello Stato

Nato a Reggio Calabria, sessantotto anni, Andrea Monorchio è stato il più longevo Ragioniere generale dello Stato (dal 1989 al 2002), avendo trascorso quarant’anni di carriera, complessivamente, nei suoi ranghi. Professore ordinario di Contabilità dello Stato alle Università di Roma e di Siena, è autore di diversi volumi di economia e finanza. Attualmente è presidente della Concessionaria dei servizi assicurativi pubblici (Consap).  

 

Al più longevo Ragioniere generale dello Stato nella storia d’Italia: come si calcola la ricchezza di un Paese?

“A rilevarla ogni anno ci pensa l’Istat, l’Istituto centrale di statistica, e il risultato viene pubblicato nella relazione sulla situazione economica del Paese; relazione alla quale partecipa, naturalmente, il ministero dell’Economia. In sostanza, l’Istat calcola per ciascuno dei campi che compongono la nostra economia il cosiddetto valore aggiunto rispetto all’anno precedente. La somma del valore del settore primario, cioè agricolo, della produzione industriale e così via dà, alla fine, la ricchezza dell’Italia”.

Continui a essere didascalico: quando si dice che il pil (prodotto interno lordo) è cresciuto del due per cento in confronto all’anno precedente significa che?…

“…che la ricchezza è passata da cento a centodue. Tale ricchezza viene rappresentata sia in termini reali che in termini nominali. La differenza è che, nel primo caso, si prescinde dal calcolo dell’inflazione”.

Che cosa può compromettere di più la ricchezza: tasse alte o alte spese pubbliche?

“La crescita economica non dipende soltanto dalla capacità del Paese di produrre ma anche di esportare”.

Siamo più produttori o esportatori?

“Siamo entrambe le cose. L’anno scorso la crescita è stata tirata parecchio dall’esportazione. E’ un buon segnale. Però la crescita strutturale dev’essere affidata molto alla domanda interna, alla crescita dei consumi. Talvolta la gente non riesce a comprendere il significato di talune decisioni dei governi. Per esempio, l’abbassamento delle tasse, o l’aumento delle pensioni minime di cui si è tanto parlato. Queste decisioni finirebbero per influenzare i consumi del Paese. Le maggiori risorse ai pensionati non vanno sotto i mattoni, vanno ad incrementare i consumi. E lo stesso avviene sul versante delle entrate. Se io diminuisco le imposte, il reddito dei cittadini aumenta, e quindi aumenta il loro desiderio di spendere, perché ci sono dei bisogni insoddisfatti. La realtà è che in Italia la propensione al consumo è più contenuta rispetto a quella di altri Paesi”.

Ma come, non siamo un popolo di spendaccioni?

“In realtà siamo un Paese di risparmiatori. Per tantissimi anni abbiamo mantenuto il primo posto al mondo, assieme ai giapponesi, nella raccolta del risparmio. Il motivo per il quale anche con un debito pubblico imponente non abbiamo mai avuto il problema di sottoscrizione di titoli pubblici, si deve proprio al risparmio delle famiglie”.

Abbassare le tasse è cosa buona e giusta, lei dice. Serve una prova: la trovi. 

“Ricorda che cosa ha fatto Bush dopo la tragedia dell’11 settembre? Ha fatto un’imponente manovra fiscale di riduzione della pressione fiscale per indurre gli americani a consumare. E la “domanda” delle famiglie è stata, appunto, la ragione principale della crescita degli Stati Uniti pur in un momento così difficile”.

Avranno pesato, economicamente parlando, pure le guerre successive, o no?

“Certo. Può sembrare una cosa strana, ma le truppe presenti in Iraq e in Afghanistan consumano anch’esse. Pure le Forze Armate fanno “domanda”. E poi non dimentichiamoci che per un certo periodo di tempo ha giocato il boom della borsa: le famiglie utilizzavano il capital gain guadagnato per consumare. Come vede, sempre lì si va a finire”.

Più goderecci negli anni del nostro mitico boom, eravamo?

“Per quanto riguarda i consumi proprio no. L’occupazione dava una spinta forte, ma erano consumi primitivi, per così dire, non evoluti. Inoltre rispetto a cinquant’anni fa, oggi c’è un’altra, importante novità: gli anziani. Le persone di una certa età hanno una distribuzione delle loro risorse dei consumi che è diversa in confronto a quella di un Paese giovane. Hanno dei consumi, mi si passi il termine, più elementari. Penso alla tecnologia, aspetto di rilievo nei consumi dei giovani, mentre gli anziani non smaniano per comprare il computer dell’ultima generazione. Anche il sistema tributario dovrà adattarsi a questa realtà. Altrimenti ci sarà un calo delle entrate”.

Che cosa può meglio consolidarla, la ricchezza: il lavoro di noi tutti o la buona amministrazione del governo?

“Occorre che la spesa pubblica sia indirizzata prevalentemente a favorire gli investimenti, ossia l’aumento della produttività del Paese. In più ci vogliono il lavoro, i giovani e gli immigrati che sostituiscono gli anziani. Penso a un’immigrazione legale e programmata anche d’intesa con le imprese. Questo, tra l’altro, si riflette sul sistema previdenziale. Si è calcolato che mediamente ci vuole il contributo di quindici persone per pagare una pensione”.

Qual è il “vero” pil dell’Italia, e in che posto siamo nella classifica dei grandi Paesi?

“Tralasciando i Paesi fuori classifica per numero di abitanti -Cina o India-, noi siamo sesti nella graduatoria “ufficiale”, dopo Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia e Gran Bretagna. Se consideriamo il lavoro nero e altre attività non censite ancorché tenute in debito conto dall’Istat, l’Italia ha un pil da quinto Paese del mondo. Senza alcun dubbio. Spesso ci dipingiamo come una nazione cenerentola. Invece siamo un grande Paese: i quinti produttori di ricchezza al mondo”.

A proposito di lavoro nascosto: e dell’evasione che dice?

“Dicono i numeri elencati dal ministro dell’Economia, il quale ha parlato di un’evasione di duecento miliardi di euro, cioè quattrocentomila miliardi di vecchie lire come base imponibile! Significa che può esserci un’evasione, grossomodo, dell’ordine di cento miliardi di euro, duecentomila miliardi di lire”.

Chi sono i nuovi poveri in Italia?

“Le famiglie con un solo reddito appartengono sicuramente alle categorie disagiate, se non ai nuovi poveri. E’ stato calcolato che ci sono sedici milioni di italiani in difficoltà”.

Ci riferiamo alla “povertà da consumo”, all’impossibilità di soddisfare i bisogni medi e generali; non ci riferiamo alla povertà classica, e tanto diffusa nel pianeta, della fame. Giusto?

“Certo. E la sofferenza maggiore la provano i pensionati”.

Ciclicamente, l’opposizione di turno tuona contro il “rischio di declino”. I numeri ci confortano o ci deprimono sull’avvenire del nostro Paese?  

“Il termine “declino” è comparso dopo che per molti anni l’Italia ha avuto una crescita ridotta o nulla. In alcuni casi si è parlato di “perdita di ricchezza”. Ma questo è attribuibile a due fattori. Dall’inizio degli anni Novanta siamo stati costretti, assieme agli altri Paesi europei, a una rigida politica di bilancio per conseguire i difficili parametri di Maastricht e partecipare alla moneta unica. Questi grandi sacrifici hanno ovviamente influito sulla possibilità di crescita. In secondo luogo, con l’arrivo dell’euro e persa ogni possibilità di manovra monetaria -addio alle svalutazioni del passato che servivano per rimettere in carreggiata le nostre barcollanti esportazioni-, insomma senza più sovranità monetaria le imprese hanno dovuto fare da sé per competere. Hanno dovuto cambiare l’atteggiamento psicologico, e puntare ancor più sull’innovazione e la ricerca. Oggi la solita “genialità italica” è riemersa, siamo capaci di competere col resto del mondo. Basti un esempio”.

Provo a immaginarlo: lo spauracchio della Cina?  

“Il terrore degli anni passati ora non c’è più. Siamo in grado di contrastare perfettamente anche quella concorrenza. Specialmente nelle produzione di qualità le nostre imprese primeggiano: non c’è Cina che tenga. Vede, in Italia i processi sono sempre molto lunghi. Questa questione del “declino” veniva quindi da lontano e nasceva per le ragioni spiegate: ma oggi anch’essa appartiene al passato. Il supposto declino non c’è. Se poi riusciremo a contrastare l’evasione che è contro il vivere della comunità, si potranno anche abbassare le tasse”.

Quanto pesa l’inefficienza pubblica sul sistema-Italia?

“Toccando questo tasto, noi pensiamo sempre all’inefficienza delle burocrazie. Attenzione: le burocrazie non fanno altro che applicare le leggi. Abbiamo troppe leggi, e questo aiuta la parte inefficiente dell’amministrazione a nascondervisi dietro benissimo. Ricordo che una volta contai le disposizione e le autorizzazioni che ci volevano per costruire un porto turistico: centoquattro! E tutte previste per legge. Lei capisce che, di fronte a ciò, si può dire qualsiasi cosa di un’amministrazione chiamata a rilasciare i relativi permessi”.

E l’indecisione politica quanto pesa? 

“Il rinvio dei problemi costa molto. Io ho la convinzione che non si potrà fermare la spesa corrente se non si interviene su alcuni comparti come le pensioni e la sanità. Se si va a vedere nell’”aggregato” che compone la spesa pubblica, il peso di questi voci è esorbitante. Si possono sopprimere tutte le auto blu che vuole, e da domani tutti in bicicletta o a piedi. Ma la grande questione resterà comunque irrisolta. Perché la dinamica spontanea della crescita delle spese previdenziali e sanitarie è tale, per cui il contenimento della spesa corrente risulta impraticabile. Invece noi abbiamo bisogno che il bilancio pubblico appresti risorse per investimenti. Siamo il quinto Paese produttore di ricchezza al mondo ma pure il meno “infrastrutturato” d’Europa”.

O la Tav o morte?

“Siamo a un livello minimo di infrastrutture. Tra l’altro, la spina dorsale dell’Italia è la piccola e media impresa, che ha bisogno proprio di collegamenti per muovere i suoi prodotti. La Tav non è un’opportunità: è una necessità. Ma pure il ponte sullo Stretto di Messina, i bruciatori di energia, la vicenda allucinante dei rifiuti in Campania… Io penso che dovrebbe essere fatta una legge nella quale si dica: quando il Parlamento della Repubblica decide per opere strutturali giudicate “di interesse nazionale”, non occorre il permesso dei pur rispettabilissimi enti locali. Qui è in ballo un “interesse preminente”: l’opera si fa e basta, come avviene negli altri grandi Paesi a noi paragonabili”.

Ma all’estero come si compete con poche multinazionali?

“Si può competere anche con la rete delle nostre piccole e medie imprese. Se il prodotto è di qualità, non c’è multinazionale in grado di batterla”.

Arriveremo mai al mitico pareggio di bilancio?

“Come no, credo nel 2009, prima volta nella storia della Repubblica. Sarà non il pareggio del bilancio dello Stato, ma del conto delle pubbliche amministrazioni; conto consolidato di cui il bilancio è un componente”.

Perché le leggi finanziarie non sanno fare i conti come una qualunque famiglia italiana?

“I temi di bilancio hanno una valenza diversa nel linguaggio della finanza pubblica e in quello delle imprese. Il bilancio, poniamo, della Fiat è un documento consuntivo, che fornisce i risultati di ciò che è stata una gestione. L’utile o la perdita dell’esercizio. Invece il bilancio della finanza pubblica si esprime in un documento preventivo. Con la Ragioneria generale dello Stato e il dipartimento del Tesoro, oggi il ministero competente predispone il bilancio del 2008. La quantità di cose che può influire su queste previsioni è dunque svariatissima, e a sua volta non sempre prevedibile”.

Qual è stato il momento economico-finanziario peggiore per il nostro Paese?

“Il 1992. Abbiamo rischiato il default, l’inadempienza. Come si ricorderà, l’allora presidente del Consiglio, Giuliano Amato, dovette fare una correzione di finanza pubblica di novantaquattromila miliardi di lire. Una scelta coraggiosa che diede anche una svolta ai conti pubblici, mettendo mano al sistema pensionistico e sanitario. Da lì in poi c’è stata una virtuosità da parte di tutti i governi che si sono succeduti. Il 1992 fu il momento allo stesso tempo peggiore e d’inizio di risalita”.

Ormai può dirlo: i politici danno ascolto ai Ragionieri generali dello Stato o se ne infischiano dei vostri rilievi?   

“Tutti i ministri del Tesoro -oggi Economia-, hanno ascoltato il Ragioniere generale. Poi la piena applicazione dei suggerimenti dipende dalla politica…Ricordo una frase di Guido Carli in Parlamento: tutti dovrebbero essere almeno una volta ministri del Tesoro per capire quanto sia difficile gestire risorse modeste rispetto alla grande quantità di bisogni”.

Pubblicato l’8 luglio 2007 sulla Gazzetta di Parma