Pagare tutti per pagare meno: la ricetta di Carlo Sangalli, presidente della (influente) Confcommercio

Carlo Sangalli è il presidente di Confcommercio. Nato a Porlezza, in provincia di Como, settant’anni, Sangalli è stato anche presidente di Unioncamere per sei anni, oltre che al vertice di incarichi istituzionali nello stesso ambito in Lombardia e a Milano (città e provincia). Dal 1968 al 1992 è stato deputato, eletto nelle liste dell’allora Democrazia cristiana.   

 

Per molti italiani mangiare e vestirsi sta diventando un problema. La responsabilità dei commercianti nella catena degli ultimi aumenti è piccola, grande o inesistente?

La mia risposta è scontata, anche perché condivisa da tutti gli analisti ed economisti: inesistente. Ci troviamo, infatti, di fronte a un’inflazione importata che continua a essere guidata dall’aumento del petrolio e delle materie prime. E questo è un fenomeno non solo europeo, ma di portata addirittura mondiale. Non si possono, quindi, accusare i commercianti, anello finale della catena, se i prezzi salgono.

Non è che stiamo ancora pagando anche le speculazioni di molti negozianti all’epoca del cambio lira-euro, cioè il raddoppio dei prezzi dei beni di consumo?

Se fosse facile e poco rischioso fare il commerciante, non avrebbero chiuso oltre 500mila imprese in meno di dieci anni. E questo significa che il settore commerciale è l’unico settore veramente liberalizzato. Non c’è spazio, di conseguenza, per comportamenti “speculativi”. Una cosa però la voglio aggiungere. Se si facesse uno sforzo per rendere più moderne le infrastrutture e meno cara l’energia, forse questo consentirebbe ai commercianti di abbassare i prezzi.

L’euro ha fatto bene all’Italia, ma male agli italiani, dice il bel paradosso. O è una brutta verità?

I sacrifici allora fatti per entrare nell’euro con la manovra-Amato (90.000 miliardi di vecchie lire), li considero un “investimento” ampiamente ripagato da una stabilità che ci ha consentito -in questi anni di bassa crescita e di calo strutturale dei consumi- di essere messi al riparo da crisi più profonde.

Ma quali sono le misure da prendere oggi, perché i cittadini possano presto tornare, e fiduciosi, a consumare?

La via maestra è quella di ridurre le tasse su famiglie e imprese. Per far questo servono risorse da reperire principalmente attraverso una robusta riduzione e riqualificazione della spesa pubblica. E nonostante la prudenza del ministro Giulio Tremonti, in autunno, quando si aprirà la riflessione sul federalismo fiscale, che ha come obiettivo quello di pervenire a uno Stato nuovo, diverso, più vicino e responsabile rispetto alle esigenze dei cittadini, dovremmo iniziare quella riduzione strutturale della pressione fiscale. Non può più essere rimandata.

Opzione: abbassare le tasse o liberalizzare i servizi, che cosa viene prima?

Sono entrambe questioni prioritarie da affrontare e risolvere il più presto possibile, se si vuole rimettere in piedi l’economia del nostro Paese che, tra una crescita prossima allo “zero” e consumi “sotto zero”, viaggia ormai da troppo tempo a “scartamento ridotto”.

Opzione: tagliare le spese improduttive o investire nelle infrastrutture, che cosa viene prima?

La prima questione è una necessità non più rinviabile e condivisa da tutte le forze politiche. La seconda è un’emergenza, che si è trasformata in un vero e proprio allarme, considerato il fatto che sul tema scontiamo un divario strutturale enorme rispetto ad altri Paesi europei.

“Si saldi chi può”, oppure prima o poi torneremo a comprare con regolarità, e nel corso di qualunque momento dell’anno?

Guardi, gli ultimi indicatori confermano il peggioramento complessivo dei consumi delle famiglie e le vendite in saldo, che pur rappresentano un importante momento per gli operatori del settore, potranno far recuperare solo in parte i mancati introiti della stagione. Detto questo, le nostre previsioni sui consumi restano molto prudenti con un +0,2% per il 2008 e +0,5% per il 2009.

Ma il settore che lei rappresenta che cosa rappresenta per l’Italia?

Provo a partire da un dato: l’economia dei servizi che Confcommercio rappresenta, è ben più del 40% del pil (prodotto interno lordo) e dell’occupazione. Quindi ha indiscutibilmente un ruolo fondamentale per tutto il sistema economico. Ma soprattutto lo ha, perché questo è il settore che più di altri è in grado di far riprendere slancio e vigore a un’economia ferma da circa un lustro.

Che fare, allora, perché le tante imprese del commercio e del terziario diventino delle vere e proprie catene -come succede in altri Paesi- per competere ad armi pari in campo internazionale?

Bisogna mettere in campo una vera e compiuta “politica per i servizi”, fatta di innovazione e di sviluppo del capitale umano, e che riconosca il ruolo che le imprese del settore possono svolgere per rafforzare crescita e produttività. Solo così si creeranno le basi per poter andare a giocare le partite fuori casa.

Ma quanto osano all’estero, gli imprenditori piccoli e medi d’Italia?

Qualcosa di buono in passato per favorire e sostenere la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese è stato fatto, sia attraverso gli accordi di settore con il ministero dello Sviluppo Economico, che attraverso l’attività di alcune Camere di commercio. Ma è un “sistema” ancora debole. Molto dipende dall’iniziativa dei singoli imprenditori. Una cosa però è sicura: le imprese che mettono il naso fuori dall’Italia, comunque, quando lo fanno (penso, per esempio, al campo della ristorazione), conseguono risultati egregi.

Nel resto dell’Europa quali sono le principali differenze (in meglio e in peggio) rispetto al commercio e all’artigianato italiani?

La maggiore diffusione dei piccoli esercizi al dettaglio e una minore concentrazione delle imprese di maggiori dimensioni delineano un modello distributivo tutto italiano. E’ un modello che si è strutturato tenendo conto della conformazione geografica del territorio e della distribuzione della popolazione. Un sistema con un mix di servizi commerciali assai più equilibrato, dove la funzione di prossimità e di specializzazione rimane un valore fondamentale, accanto ai diversi servizi offerti dalle tipologie distributive più moderne.

Per la sua associazione s’usa spesso un aggettivo un po’ deferente e un po’ malizioso: “Potente”. Potente quanto?

Forse lo chiede alla persona sbagliata, perché neanche io saprei dirglielo. L’unica cosa che posso dire è che Confcommercio è la più grande rappresentanza di impresa per numero di associati – oltre 820 mila – e che rappresenta una parte rilevante dell’economia “reale” del nostro Paese. I nostri associati li possono “toccare” tutti.

Ma rispetto ai suoi associati lei è un presidente che frena o che spinge? Insomma, ha una base in prevalenza esagitata o pantofolaia?

Le rispondo citando il famoso aneddoto del mercante di Kant, che rispecchia bene l’opinione del mio associato medio, il quale chiede sempre la stessa cosa: “Dateci buone strade e una buona moneta, al resto ci pensiamo noi”. E, aggiungerei io, dateci anche tasse giuste.

Le prime mosse del governo lasciano ben sperare, oppure mai fidarsi delle prime mosse di un governo?

Sicuramente i primi provvedimenti –eliminazione dell’Ici, detassazione di straordinari, premi e incentivi, l’impegno a ridurre l’Iva nel turismo e il progetto della card per i meno abbienti – vanno nella giusta direzione. E peraltro, alcune di queste richieste le avevamo fatte noi stessi in campagna elettorale. Certo, mi aspetto che il governo affronti con la dovuta determinazione anche l’emergenza della crescita del nostro Paese.

Silvio Berlusconi che vi ha promesso in concreto?

Una cosa l’ha già mantenuta: una concertazione meno “strabica” e meno rituale, che riconosca il giusto ruolo del commercio, del turismo e dei servizi per dare una risposta ai problemi legati, appunto, alla bassa crescita.

E Walter Veltroni che vi ha promesso che il presidente del Consiglio non vi abbia promesso?

Vede, noi non abbiamo cercato “promesse”, ma l’impegno dell’uno e dell’altro schieramento su un metodo necessario per rimettere in moto il Paese. Il metodo di una legislatura costituente, caratterizzata da una convergenza tra maggioranza e opposizione che consenta all’Italia una crescita meno stentata.

Pagare meno, pagare tutti, dite anche voi. Retorica a parte, che significa?

Ma anche “pagare tutti per pagare meno”, per favorire un’azione rigorosa di contrasto dell’evasione e dell’elusione, e pagare il più semplicemente possibile.

“Riforme”, sollecitate anche voi. Ma riforme di che, dopo vent’anni di immobilismo politico-istituzionale?

Per rendere più moderno il Paese, serve una stagione di grandi riforme. E la maggiore governabilità che il risultato elettorale ci ha consegnato, è un bene prezioso che va utilizzato presto e al meglio. Per fare, cioè, quelle riforme istituzionali, economiche e sociali di cui l’Italia ha bisogno urgente.

Dia un consiglio spicciolo alle famiglie: come cavarsela col carovita?

Direi che il pluralismo distributivo assicuri a tutti i consumatori una gamma di prezzi e di qualità dei prodotti che possono soddisfare ogni esigenza. Ce n’è davvero per tutti, anche se per molte famiglie le spese incomprimibili stanno riducendo quote di reddito disponibile da destinare ai consumi “liberi”.

Secondo lei il peggio è passato o deve ancora arrivare?

Che l’uscita dal tunnel della crisi si stia allontanando, non lo diciamo soltanto noi di Confcommercio, ma lo certificano anche autorevoli esponenti del mondo economico internazionale (compreso lo stesso governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi). Quindi, quando noi parliamo di crisi profonda e strutturale dei consumi, non vogliamo certo fare gli allarmisti, ma rileviamo un dato oggettivo. Ciononostante, dobbiamo sforzarci di rilanciare la crescita e lo sviluppo, trovando strumenti anticiclici che ridiano fiato a imprese e famiglie.

Con questi chiari di luna come s’attirano investimenti stranieri in Italia (e investimenti italiani all’estero)?

Le rispondo con le parole di Francesco Giavazzi, che sul Corriere della Sera ha scritto: “Se cerchiamo l’Italia in una qualsiasi classifica, non la troveremo mai in cima alla pagina, ma solo guardando in basso”. Ma questo non vuol dire che dobbiamo perdere la fiducia. C’è bisogno di un supplemento di responsabilità da parte di tutti, per ridare fiducia al Paese e tornare ad attrarre investimenti.

Pubblicato il 27 luglio 2008 sulla Gazzetta di Parma