Popolo di poeti, santi, navigatori ma soprattutto proprietari di casa. Corrado Sforza Fogliani (Confedilizia) spiega perché

L’avvocato Corrado Sforza Fogliani è nato a Piacenza e ha sessantotto anni. Dal 1991 è presidente nazionale della Confedilizia, che raccoglie e rappresenta le associazioni territoriali dei proprietari di casa, ed è membro del comitato esecutivo dell’Unione internazionale proprietà immobiliari (Uipi). Autore di numerosi saggi sui codici e i diritti di locazione, è anche consigliere nazionale dell’Abi (Associazione bancari italiani) e presidente della Banca di Piacenza.

Ha fondato la sezione di Italia Nostra della sua città, dove presiede anche il comitato dell’Istituto per la storia del Risorgimento. 

 

Secondo un recente sondaggio, nella percezione dei cittadini la più odiosa di tutte le tasse è quella sulla casa. Lei come lo spiega?

“Intanto perché quest’imposta colpisce il bene al quale gli italiani sono più affezionati. Un bene che è sempre frutto del sacrificio, del lavoro, dei risparmi. E poi la casa è qualcosa di già talmente tassata, da rendere del tutto privo di convenienza l’eventuale affitto, per un proprietario che volesse dare un suo appartamento in locazione. Infine c’è il fatto che quest’imposta viene concepita come patrimoniale, si presenta con una caratteristica progressivamente espropriativa”.

Siamo il popolo più proprietario di casa al mondo. “Più” quanto? 

“Le statistiche oscillano fra l’80 e l’85 cinque per cento degli italiani con una casa in proprietà. Il calcolo è complesso, però si può farlo sulla base degli immobili censiti al catasto e riferirlo al numero delle famiglie esistenti. Nessun Paese uguaglia questo primato, e pochi vi si avvicinano. Perché succede? Perché, a parte la tradizione, molti sono stati costretti all’acquisto per colpa della legge sull’equo canone e le norme successive che negli ultimi trent’anni hanno ucciso la locazione in Italia”.

In che senso hanno fatto fuori gli affitti, visto che trovare una casa da affittare costa sempre di più?

“L’equo canone, si ricorderà, aveva vincolato la locazione non solo al prezzo deciso dallo Stato ma anche a una durata pre-stabilita. Un’impostazione sovietica, la cosa più lontana possibile dal libero mercato. L’investimento è stato così danneggiato, non si compravano più case per darle in affitto. O le si affittavano pretendendo una parte in nero in aggiunta. Poi sono arrivati i cosiddetti patti in deroga e, a seguire, le liberalizzazioni nel ‘98. Tuttavia, il risultato non è cambiato nella sostanza. Libero prezzo in teoria ma durata obbligatoria e vincolata”.

Conseguenze?

“Il blocco della mobilità. Lavoratori, studenti fuori sede, italiani del Sud che vengono al Nord: tutti indotti all’acquisto dell’abitazione, piuttosto che all’affitto. O perché gli affitti sono, appunto, esorbitanti, o perché non si trovano appartamenti da prendere in affitto. Esattamente l’opposto di quello che accade nel resto d’Europa, dove la mobilità viene accompagnata e agevolata dalla possibilità di trovare case in locazione. All’estero anche l’edilizia economica e popolare risulta largamente superiore alla nostra. Invece una parte della nostra edilizia rivolta ai meno abbienti, è spesso utilizzata da persone che la occupano in modo abusivo, da morosi professionali, da gente che non ha i titoli per stare in quel tipo di appartamento. O che magari se lo tramanda di padre in figlio, pur avendo perduto i requisiti necessari”.

Quando abbiamo acquisito questa propensione alla “casa, dolce casa”? E com’è cambiata l’abitudine nel corso del tempo?

“La propensione ha coinciso col traguardo sociale e la sicurezza che la casa di proprietà ha sempre rappresentato. Il problema è che alla scelta volontaria, qual è stata per molto tempo, è subentrata la costrizione. Non si trovano alloggi, e allora mi sveno per comprarne uno. Una volta i nostri vecchi cercavano di acquistare un’abitazione per darla in affitto e arrotondare, in tal modo, la pensione nella vecchiaia. Questo oggi non succede più”.

Sta dicendo che è venuta meno la “funzione sociale” della casa?

“Esattamente. E’ rimasta quella di salvaguardia dell’indipendenza e della libertà personale, funzione strettamente legata al “possesso” della casa”.

E’ un valore borghese o proletario, oggi?

“E’ un valore liberale per chiunque voglia e possa permetterselo. La casa propria è un presidio della libertà. Del resto, tutte le proprietà lo sono, perché rendono la persona non dipendente da nessun’altra, le consentono la piena espressione di sé. Con questo non dico che un inquilino sia meno libero. Ma è più esposto alle incertezze, oltre che agli umori o alle decisioni del padrone di casa”.

Eppure, l’America, patria delle libertà, non coltiva il mito della casa. Gli americani cambiano abitazione in continuazione, e non curano certo la “cultura del mattone” come noi la curiamo. Che spiegazione dà? 

“Forse scattano anche dei meccanismi psicologici, nelle evidenti diversità. Loro, per esempio, non hanno conosciuto i sistemi autoritari, non hanno mai avvertito il bisogno di sentirsi in qualche modo al riparo dentro casa. In termini differenti, ma con la stessa aspirazione auto-protettiva, oggi lo vediamo anche noi con gli immigrati. Molti di loro collegano la possibilità di restare in Italia al possesso di una casa, la sola cosa -più ancora del lavoro- capace di dare un senso di stabilità nella nuova terra in cui s’è arrivati”.

Quanto incide nei bilanci familiari la proprietà di una casa, economicamente parlando?

“Incide anche indirettamente per tutto l’indotto che crea. Basti pensare agli impianti e alle misure di sicurezza. La casa è un bene sul quale è facile avventarsi per succhiare soldi. Ricordo la battaglia che stiamo conducendo come associazione contro il cosiddetto libretto casa previsto dal Comune di Roma (e il Tar ci ha dato ragione, annullando la relativa delibera). A che potrà mai servire a un proprietario di casa il dover descrivere il suo immobile, se non a dare delle opportunità di lavoro a dei professionisti?…”.

Siamo i maggiori possessori di casa, ma abbiamo i mutui più cari d’Europa per comprarle. Non è un controsenso?

“Non so se sia realmente così. So con certezza che mai abbiamo avuto i tassi tanto bassi. E poi bisognerebbe fare un confronto anche di un altro tipo. All’estero quante banche devono svolgere adempimenti che spetterebbero allo Stato, sul piano fiscale o su quello contro il riciclaggio? La verità è che le banche esercitano un ruolo di supplenza che finisce per incidere sui costi”.

Qual è la regione più “casalinga” d’Italia?

“Onestamente non lo so, perché non esistono degli studi accreditati al riguardo. Ragionevolmente, a fronte del dato nazionale dell’85 per cento di italiani proprietari di casa, si può supporre che non ci siano differenze di rilievo fra regioni e grandi città”.

C’è una scuola di pensiero che dice: errore comprar casa, meglio prenderla in affitto. Sottoscrive?

“In certi casi conviene acquistare, ma non si può generalizzare. Dipende anche dal genere di immobile a cui si punta. Di solito conviene acquistare i monolocali e le unità immobiliari perché, essendo le più richieste, hanno un canone alto, se trovate in affitto. Già per gli appartamenti di medie dimensioni è diverso. E’ vero, però, che da un punto vista sostanziale uno Stato ben ordinato dovrebbe saper tutelare le locazioni per garantire la mobilità delle persone. Impiegati pubblici, Forze Armate, insegnanti: l’affitto contribuisce al buon vivere non meno dell’acquisto”.

In Italia si formano e lavorano architetti e ingegneri di livello internazionale. Eppure, si costruisce e ricostruisce pochissimo. Perché?

“Anche qui la mano pubblica determina l’assurdo. Noi abbiamo fatto uno studio sugli oneri di concessione edilizia, cioè il costo di costruzione e di urbanizzazione. Spesso si rivelano più alti nei centri storici che non nelle periferie. E così i costruttori hanno tutto l’interesse a costruire ex novo strappando zone al verde e all’agricoltura dei territori lontani dal centro, piuttosto che a restaurare nel cuore delle città. La serie di vincoli e di oneri aggiuntivi da parte delle regioni e dei comuni appesantisce il quadro. E’ una politica miope. La mano pubblica, per citare il presidente americano dell’epoca, Ronald Reagan, preferisce “affamare la bestia”, cioè la spesa pubblica, sprecando risorse, culture e territorio”.

Come si tutela il bel centro storico, allora?

“Senza ridurlo a un parco zoo da visitare dopo aver superato mille divieti, e con isole pedonali prive di parcheggi nelle vicinanze. Si tutela con una politica che incentivi, con intelligenza, le ricostruzioni”.

Palazzi storici e artistici: che suggerisce per restaurarli in modo produttivo per la società?

“Noi abbiamo una grande risorsa, il patrimonio più vasto dell’umanità, come si sa. In buona parte è un patrimonio in mano ai privati. In certe proporzioni essi sono stati favoriti con delle agevolazioni fiscali. Ma non con la necessaria coerenza per trasformare quel beneficio in un incremento del turismo”.

E per rispettare le esigenze ambientali e di sicurezza?

“Penso alle normative sugli ascensori, gli impianti elettrici o di riscaldamento, penso alle iniziative sul risparmio energetico. Talvolta abbiamo norme più restrittive di quelle dell’Unione europea. E non s’invochi il rigore, stavolta. Il rigore può essere dilatato all’infinito. Bisogna saper distinguere tra sicurezza e visione ambientale da una parte, e puri e semplici affari dall’altra”.

Lei è favorevole o no alla filosofia dell’acquisto della seconda casa, al mare o in montagna?   

“Non ci vedo niente di contrario, se è un’opportunità (per chi ce l’ha). Affari suoi, se poi passerà le vacanze sempre lì….”.

Lei ce l’ha?

“No, io no. Ma in compenso sono tra quelli che ancora si ostinano a dare in affitto case di proprietà…”.

Che c’è dietro l’angolo per l’85 per cento dei cittadini?

“Incombe come un macigno la questione del catasto patrimoniale. Secondo il disegno di legge del governo, esso sarebbe impostato sul valore di mercato del bene, anziché sul reddito calcolabile sulla base dell’affitto reale o potenziale; e sarebbe imposto con coefficienti stabiliti dall’esecutivo a sua discrezione senza nessun  riscontro nella realtà. In pratica con coefficienti inventati. Traspare così solo l’esigenza di far cassa. Il catasto ha sempre censito il reddito che si può trarre dagli immobili: erano i catasti pre-unitari a essere patrimoniali, ossia uniformarti al valore della proprietà anziché alla sua redditività. Si ritornerebbe, in questo modo, a un’ideologia anti-proprietaria di un secolo e mezzo fa”.

Al governo, se l’ascolta, che gli chiederebbe? 

“Di cambiare totalmente marcia. Di incrementare le libere locazioni da proprietari veramente liberi di affittare. Di non buttar via soldi in edilizia popolare che non va al popolo. E di cambiare il meccanismo dell’Ici sulla prima casa, adottando i criteri seguiti in tutta Europa. Ma lei pensa che il governo mi ascolterà?”.

Pubblicato il 15 luglio 2007 sulla Gazzetta di Parma