Roberto Cota: io sono della generazione solo-Lega, tutta viaggi, moto e famiglia

Roberto Cota è nato a Novara e ha quarantun anni. Avvocato penalista, è il capogruppo della Lega Nord alla Camera dei deputati. Appartiene alla cosiddetta generazione del solo-Lega, per la quale ha votato, e nella quale ha militato fin dai tempi dell’Università di giurisprudenza a Milano.

 

Che mestiere fa il capogruppo dei deputati leghisti alla Camera: quello del preside, del generale o del ventriloquo di Bossi?

“Nessuna delle tre cose. Il capogruppo ha competenze di carattere politico, perché esprime la linea su tutta una serie di questioni. Su problemi che sono invece particolarmente delicati, la linea la dà il segretario del movimento”.

Il capogruppo o dà la linea o la interpreta. Riassumo bene?

“Perfetto”.

Ma il cinque in condotta agli onorevoli in aula, o non in aula, volano quante volte al giorno?

“Per la verità questo è un gruppo in cui prevale l’otto, il nove. A parte la presenza, che è del 93 per cento alle votazioni -è il gruppo più presente di tutti-, i nostri parlamentari contribuiscono molto ai lavori in aula e nelle commissioni. Io darei voti alti sia in condotta, sia nel merito”.

I leghisti non sono fannulloni: riassumo ancora bene?

“Perfetto”.

Ma come si preparano questi “studenti-modello” all’esame delle leggi in modo approfondito?

“Noi abbiamo una caratteristica che agli altri manca: formiamo la classe dirigente, cioè da noi nessuno arriva in Parlamento “improvvisato”, ma dopo aver amministrato il territorio per anni. E’ la nostra meritocrazia”.

Qui niente veline, par di capire?

“Veline, non veline…No, non ci sono veline, nel senso che tutti hanno una militanza politica alle spalle. Inoltre, noi abbiamo organizzato un ufficio studi a sostegno dei parlamentari. L’ufficio è composto da persone che si dedicano da anni ai temi oggetto delle quattordici commissioni. Il deputato non è lasciato a se stesso”.

Perché la Lega ricorre spesso a un linguaggio truculento, come quei bambini che urlano parolacce per far dispetto ai genitori?

“Contesto un po’ la definizione di truculento. Dico che, per farsi sentire, a volte bisogna alzare la voce”.

Nessuno, però, di chi la frequenta, direbbe che lei sia un leghista. S’è camuffato bene o sotto la camicia verde batte un cuore moderato?

“Io sono un leghista doc. Chi mi conosce, sa che ho fatto la gavetta. Ho sempre vissuto in simbiosi con la Lega. Almeno da quando avevo vent’anni, e finivo l’Università di giurisprudenza a Milano. Posso sembrare moderato nel modo di esporre le cose, ma sono determinato nelle mie idee”.

Rispetto ai lombardi e ai veneti, che sono l’asse portante e votante della Lega, voi piemontesi -lei è di Novara- vi sentite dei fratelli minori?

“Oggi no, ma per diversi anni sì”.

Che cos’è cambiato?

“I voti. Oggi la Lega è al sedici per cento in Piemonte, dove abbiamo anche tanti amministratori. I piemontesi hanno voce in capitolo. Tant’è che Bossi ne ha indicato uno come capogruppo”.

Diceva dei vent’anni “iniziati” alla Lega. Ma prima lei chi era?

“Io sono della generazione del solo-Lega. Ho votato sempre e solo quella, la prima volta nell’87”.

Che cosa poteva colpire della Lega di allora il giovane di allora?

“Bossi. Vedevo quest’uomo solo contro tutti. Vedevo che in quel panorama di prima Repubblica, diceva cose nuove e aveva anche la forza di entrare in Parlamento. Solitario al Senato”.

Il Senatùr, coniato da allora…

“Bossi voleva cambiare il sistema, e questo attraeva un giovane come me. Piano piano cominciai a frequentare la sede della Lega a Novara. Nel 1990 mi sono iscritto e, da quel momento, ho militato, andando ogni settimana in sezione”.

Milita ancora, adesso che lavora nelle alte sfere?

“Cavolo! Nell’ultima campagna elettorale ho attaccato anche i manifesti. Perché io li so attaccare, i manifesti. So fare anche la colla per affiggerli”.

Ma Novara non è la città di Oscar Luigi Scalfaro, già presidente della Repubblica?

“Sì, anzi, no. Da tempo non è più la città di Scalfaro. E’ la città di Bossi. Ma non so fino a che punto Novara fosse città dell’ex presidente. Lo dico davvero senza polemica: lui è sempre stato un corpo estraneo”.

Da ragazzo che cosa leggeva, e quanto viaggiava?

“Ero appassionato di storia, ma a un certo punto ho avuto una folgorazione. Al Liceo andavo così così. Non sono mai stato rimandato, però preferivo uscire e divertirmi. Per esempio le moto”.

Le moto o le donne?

“Tutte e due. La trasformazione arriva con l’Università, dove mi prende molto il diritto. Non ho un libro che io possa dire “è il mio libro”. Adesso indicherei Carlo Cattaneo, per dire. Quanto al viaggiare, l’ho fatto e lo faccio molto. Due anni fa ho girato il Main, Stati Uniti, con mia moglie. Un giro indimenticabile”.

Famiglia borghese e cattolica o proviene da un’altra storia?

“Mio padre fa l’avvocato. Io sono cattolico. Lo sono sempre stato, ma mia moglie lo è in modo particolare”.

La politica è tutto?

“No, la famiglia è la cosa più importante”.

Ma in casa parlate di politica?

“Con mia moglie sì. Però lei non si occupa di politica, e io di questo sono contento”.

Vota per lei?

“Sì, mi vota”.

Come fa a esserne tanto sicuro? Il segreto dell’urna…

“Spero che mi voti…”.

La sua estate più bella?

“Penso che sia la stessa per tutti i liceali o quasi: l’estate dopo la maturità. Per anni ho sognato di dover ancora fare quell’esame, la maledetta versione di greco”.

L’esame di maturità, si sa, è un sogno ricorrente per molti. Ma lei che Italia sogna per sua figlia Elisabetta, che ha un anno? (me l’ha detto prima di cominciare l’intervista)

“Io sogno la Padania”.

Non è la stessa cosa.

“Voglio un Paese federale”.

Ma che tipo di Paese?

“Lo sogno più giusto. Mi piacerebbe che, alzandosi ogni mattina, mia figlia ritrovasse uno Stato più amico. Voglio un Paese pieno di futuro, dove per avere un posto di lavoro non sia necessario raccomandare nessuno”.

Lei ha mai fatto una raccomandazione?

“Raccomandato mai nel senso classico del termine”.

E nel senso non classico?

“L’unica cosa che posso fare, è dare consigli. Ma lo dico prima a chi viene da me: qui non si raccomanda”.

Ma se uno è bravo e lei conosce un’azienda, lo segnala o no?

“Se uno è bravo e so che ha bisogno, specie in un momento di crisi, lo posso anche dire. Ma non ho mai chiesto di fare assunzioni per chi non lo meritasse, né ho mai chiesto alcunché nell’ambito dell’impiego pubblico”.

Perché la Lega guarda allo straniero con paura, anziché con speranza?

“La Lega non guarda allo straniero con paura. La Lega guarda con preoccupazione all’immigrazione clandestina e all’immigrazione non gestita, che è altra cosa. Senza regolamentare il fenomeno, il fenomeno finisce per creare paura nella gente”.

Ma lei ha paura dello straniero?

“No, io no. Però ho paura di una situazione in cui domani noi non saremo più padroni a casa nostra. Questo sì. I valori devono essere salvaguardati. Dopodiché, chi è in regola, per noi ha tutti i diritti”.

E’ anche una grande risorsa l’immigrazione. O no?

“Se è gestita bene, può essere una risorsa. Se è gestita male, è un problema”.

Oggi è un problema o una risorsa?

“Rispetto alla situazione di fronte alla quale ci siamo trovati, era oggettivamente un problema, perché non era gestita. Oggi le cose sono cambiate”.

Che cosa può fare il Nord per il Sud?

“Può fare tanto, però non con l’assistenzialismo”.

Questo è quello che “non” può fare. Ma io le avevo chiesto che cosa “può” fare…

“Il federalismo.  Col federalismo il Sud ha una nuova speranza. Invece che impostare il lavoro in modo clientelare, puntando a succhiare le risorse dello Stato, il Sud deve trasformare le sue attività in qualcosa che renda ai cittadini. Il turismo, per fare un facile esempio, è una vocazione di quel territorio, mentre alcuni insediamenti industriali del passato, costruiti con l’aiuto delle leggi, e poi chiusi, sono solo diventati cattedrali nel deserto. Del Sud bisogna imparare a valorizzare quello che già ha”.

Ma quando questo federalismo sarà in vigore, in tempi relativamente brevi, la Lega a che servirà più?

“Il federalismo già approvato, quello fiscale, è un passaggio importante. Ma per arrivare a un’autonomia dei territori, a uno Stato più responsabile, manca ancora molto lavoro da fare”.

E se la Lega Nord diventasse Lega Italia?

“Non potrà mai diventarlo”.

Perché avete questo tabù dell’Italia?

“Non abbiamo il tabù, ma noi siamo un partito territoriale. Noi pensiamo che il federalismo sia la ricetta giusta anche per il Sud. Se lì dovessero nascere altri movimenti autonomisti, noi non li guarderemmo con sospetto. Li guarderemmo con interesse, e potremmo anche sostenerli. Però noi siamo radicati in un certo territorio. La classe dirigente non si esporta, ma deve nascere sul territorio”.

Il governo è nelle mani della Lega, sostiene l’opposizione. Il capogruppo leghista conferma?

“No, non è nelle mani della Lega. La Lega è il motore del governo. Tante delle cose più importanti fatte in questo primo anno di governo, sono state proposte dalla Lega. Però sbaglia chi vede questo come una forma di ricatto. E’, al contrario, qualcosa di positivo. Dovrebbero essere contenti, perché noi portiamo qualcosa nel governo, senza nulla togliere”.

La priorità autunnale della Lega?

“La riforma e i decreti attuativi del federalismo. Con un’attenzione forte sull’economia. In particolare al settore delle piccole e medio-imprese, che per anni sono state il limone da spremere. Ma questo settore è il tessuto portante del Paese. Oggi le piccole e medie imprese sono strette dal sistema creditizio. Bisogna aiutarle a liberarsi dalla morsa di uno Stato che, anziché aiutarle, le appesantisce anche sotto il profilo burocratico. Devono essere più competitive”.

Telegraficamente: chi ha la colpa della crisi?

“La globalizzazione senza regole, che ha presentato il conto. Bisogna fare in modo che domande e offerte di lavoro si incontrino sul territorio, e che le nostre imprese vengano tutelate”.

Dica una cosa leghista.

“Padroni a casa nostra”.

Pubblicato il 2 agosto 2009 sulla Gazzetta di Parma