Vittorio Emanuele, due parole sull’ultimo dei Savoia

Il destino gli è stato nemico e il carattere non lo ha aiutato. Ora che Vittorio Emanuele è morto a Ginevra a pochi giorni dal compiere 87 anni, è giusto riaprire il capitolo dei Savoia, di cui lui era il penultimo discendente (a incarnare l’eredità della millenaria dinastia oggi è il figlio Emanuele Filiberto con le sue due figlie Vittoria e Luisa).

Tra luci e ombre i Savoia hanno fatto la grande storia d’Italia. Come dimenticare che a Vittorio Emanuele II, il trisavolo non a caso ribattezzato “padre della Patria”, si deve con Garibaldi, Mazzini e Cavour la finalmente raggiunta unità della Nazione il 17 marzo 1861?

Ma come non ricordare che il nonno e omonimo, Vittorio Emanuele III, fuggì precipitosamente da Roma lasciando lo Stato senza ordini di fronte alla prevedibile reazione degli (ex) alleati tedeschi dopo l’8 settembre 1943? (e senza riesumare il tema, già consumato dagli storici, del Ventennio fra Re e Duce con la monarchia che mai dissentì dal fascismo).

Dunque, se su casa Savoia è ora di poterne parlare “sine ira et studio”, cioè senza animosità e per capire secondo la bella espressione latina usata dallo storico Tacito, nel caso del Vittorio Emanuele appena scomparso prevale, fatalmente, la cronaca. E la cronaca dice che quest’uomo era incolpevole quando, bambino di 9 anni, dovette abbandonare la Patria col papà e ultimo re d’Italia, Umberto II (anche se “il Re di maggio” regnò solo per 36 giorni).

Il bimbo è cresciuto in esilio per 56 anni. Una vittima della Storia, che perciò aveva tutti i requisiti per suscitare simpatia fra gli italiani.

Invece, ogni volta che apriva bocca dall’estero, Vittorio Emanuele inanellava una gaffe, senza riuscire a entrare in empatia proprio con quel popolo di cui faceva lontana e dolorosa parte.

Ma il colpo fatale per l’esule lo diede la tragica vicenda di Dirk Hamer, il diciannovenne tedesco ferito il 17 agosto 1978 da un colpo di fucile all’isola di Cavallo (Francia), mentre dormiva in barca e poi morto tra le sofferenze. Vittorio Emanuele fu indagato, incarcerato e alla fine assolto tra le polemiche per quella drammatica vicenda.

Anni dopo, nel 2002, il Parlamento sarebbe intervenuto con acrobatico ingegno non per eliminare, bensì per decretare la “cessazione degli effetti” dell’ormai inoffensiva XIII disposizione transitoria e finale in Costituzione. Che diceva: “Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale”. Ancor più acrobatica era stato il Consiglio di Stato, che nel 1987 aveva permesso il ritorno dell’ultima regina d’Italia, Maria José, perché, morto il marito Umberto II, la signora non era più da considerare “consorte”, bensì “vedova”. L’italica arguzia è insuperabile.

Vittorio Emanuele sarà sepolto a Superga, avendo negli ultimi vent’anni della sua vita “coronato” non il trono, ma almeno il sogno: tornare in Italia.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova