Tra bikini e burkini l’Europa fa la prova dei suoi costumi (e non soltanto da bagno)

Tra bikini e burkini l’Europa è all’ultima spiaggia. Dopo che alcuni sindaci francesi, spalleggiati dal primo ministro Valls, hanno deciso di vietare alle donne l’uso del costume che le copre dalla testa ai piedi “perché incompatibile con i nostri valori”, è esplosa la polemica su quali principi far valere anche in Italia. Può, dunque, l’Occidente ferito e minacciato dal terrorismo di matrice islamica proibire quel che agli occhi della Francia, il Paese che ha versato più sangue innocente, appare come l’”espressione di un’ideologia basata sull’asservimento delle donne”, secondo le parole di Valls? Certo che può. Ed è sorprendente che il nostro ministro dell’Interno, Alfano, fra le ragioni per spiegare il suo disaccordo dica che l’eventuale divieto suonerebbe come una provocazione che potrebbe attirare attentati. Ma una Repubblica libera e sovrana, se ritiene giusta una misura per la sicurezza dei suoi cittadini, non rinuncia a farla per timore di reazioni. Uno Stato degno non si sottomette a nulla, fuorché alle sue leggi.

Ma difeso il pur opinabile diritto dei francesi di estendere il già vigente divieto di velo integrale in pubblico alle donne che vogliano farsi un bagno in mare, il quesito è un altro: ne vale la pena? E’ ragionevole impedire a pochissime donne, oltretutto, di indossare il burkini al sole dei quaranta gradi, roba da non augurare alla più antipatica vicina di casa? La strada contro le discriminazioni è punire la povera vittima che non si ribella al marito-padrone? Un marito due volte ottuso, perché nelle nostre spiagge nessuno noterebbe una donna in bikini, ma tutti guarderebbero con insistenza una donna super-vestita, proprio ciò che quell’uomo vorrebbe evitare. E poi: multare una donna che magari ha conquistato a fatica la felicità di nuotare rassicurando il marito d’altri tempi e fede che lo fa col burkini (e un giorno, chissà, anche senza), significa incoraggiare il cambiamento o interromperlo?

Per reprimere in tempo la violenza jihadista, lo Stato deve saper guardare all’invisibile, non al troppo ostentato. Perciò ascoltare certi sermoni in arabo di certi imam, un discreto numero dei quali è stato infatti già espulso dall’Italia. Capire dove e come il malessere sociale possa diventare l’alibi per reclutare e indottrinare giovani non integrati. E far imparare a tutti i principi del nostro Corano, che è scritto in italiano e si chiama Costituzione della Repubblica.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi