Migranti, la Sicilia non è più un’isola ma Bruxelles ancora non lo sa

Non bastavano la fame e il freddo, l’insidia delle onde e la tortura degli scafisti. Adesso il dramma dei migranti che sbarcano in Sicilia, primo avamposto di un’Europa sorda e cieca, si carica anche di odio religioso: quindici immigrati musulmani, incluso un minorenne, sono stati arrestati a Palermo con l’accusa d’aver buttato in mare dodici profughi cristiani durante l’ultima traversata. Tutto per una rissa scoppiata sul barcone fra un centinaio di disperati nella notte di due giorni fa, e altri cristiani si sono salvati dalla furia omicida improvvisando una catena umana per darsi forza l’un con l’atro. Non era mai successo, ma c’è sempre una prima volta in questo mondo alla rovescia, dove anche la guerra tra poveri può assumere incredibili pretesti religiosi. E dove i cristiani continuano a pagare il prezzo più alto di questa follia, persino dentro un gommone della speranza.

Fino a quando le istituzioni potranno tollerare il dilagare ovunque e comunque del conflitto dal bersaglio facile, il cristiano solo, disarmato e, per sua vocazione, pacifico? Fino a quando i governi continueranno a snobbare il nuovo esodo biblico dei più deboli e indifesi d’ogni religione, ceto e nazionalità, che lasciano patria e famiglia per un posto al sole nell’invece gelida Europa? Lassù, negli uffici che contano nella sempre grigia e piovosa Bruxelles ancora credono che destinando finanziamenti irrisori alla missione e riempiendo di complimenti i soliti italiani “brava gente”, la pratica sia chiusa. Come se accudire e sistemare il fiume inarrestabile delle persone in arrivo giorno e notte dall’Africa, fosse compito di un sindaco, di una parrocchia, di un ente locale, fosse anche il più grande come la regione. A forza di non voler vedere la vastità del fenomeno e senza approfondire le ragioni e le conseguenze di questa fuga di massa, l’Unione europea si sta condannando a un miscuglio esplosivo di rabbia e di paura, d’impazienza e di pregiudizio dei suoi cittadini non solo italiani.

Se il fenomeno diventa ingovernabile, imprevedibile sarà la reazione della gente che accoglie. Anche di quella -e ce n’è tanta, per fortuna- con un cuore grande così. Ma tutta la generosità del mondo non si può concentrare sulla sola e lasciata sola Italia. Nessuna istituzione potrà mai sostituirsi al dovere di una politica ragionevole e di una strategia lungimirante che vedano impegnati tutti i Paesi dell’Unione per regolare l’immigrazione. La Sicilia non è più un’isola: Bruxelles se ne faccia una ragione e intervenga. Ed è già tardi.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi