Se la politica di un ministro sull’immigrazione (vedi Salvini) finisce in tribunale

Stessa isola e stessa accusa -“sequestro di persona”- per due vicende quasi identiche che si sono svolte nel 2019 a distanza di un mese l’una dall’altra. Ma nel primo caso la Procura di Catania ha chiesto il non luogo a procedere per l’allora ministro dell’Interno e oggi indagato, Matteo Salvini. Nel secondo la Procura di Palermo ne ha invece richiesto il rinvio a giudizio, ieri accordato dal giudice competente.

Basta il giudizio opposto dato dalla magistratura chiamata a giudicare la politica degli sbarchi di Salvini, peraltro non contestata se non proprio condivisa -lo dirà il processo- dal governo gialloverde del Conte I, per avvalorare un grande dubbio: ma davvero spetta a un tribunale stabilire se un ministro della Repubblica nell’esercizio delle sue funzioni ha fatto bene o ha fatto male a non far sbarcare subito i 147 migranti della nave spagnola Open Arms? Migranti che furono sempre monitorati e visitati nei 19 giorni in mare fino allo sbarco a Lampedusa disposto dalla magistratura di Agrigento.

Tutto ciò configura un sequestro? Ormai sarà l’oggetto di un processo che fatalmente diventerà politico, non solo perché l’imputato già annuncia che vi andrà “a testa alta per aver difeso la Patria”.

Con ogni evidenza le scelte di Salvini si prestano tutte allo scontro fra chi le appoggia e chi le contrasta. Ma, prima di un’aula di giustizia, forse esistono altri tribunali per giudicarle: il governo e l’opposizione, il Parlamento e i partiti, alla fine gli elettori. Se non ci sono acclarati reati -e la contrapposizione fra i magistrati testimonia la più totale incertezza al riguardo-, è la politica che giudica la politica.

Del resto, sarà così fin dal primo giorno del dibattimento, destinato a trasformarsi in uno spettacolo ideologico pro o contro Salvini.

In barba a qualunque desiderio di pura e semplice giustizia.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi