Perché il certificato verde tutela la libertà di tutti

Doveva essere la madre di tutte le proteste: primo giorno del certificato verde obbligatorio per salire sui treni a lunga percorrenza e prima chiamata a raccolta, via Telegram, degli oppositori a tale misura nelle stazioni d’Italia. Invece davanti ai binari c’erano più poliziotti e giornalisti che manifestanti. Un flop che conferma l’ampio consenso dei passeggeri a esibire la prova dell’avvenuto vaccino, test negativo o guarigione per viaggiare in tranquilli, ma anche l’incomunicabilità fra il mondo che combatte il Coronavirus tutto allo stesso modo e i no vax contrari alle nuove regole. Regole che hanno già indotto oltre il 70 per cento degli italiani alla vaccinazione libera e gratuita. Dà l’idea del paradosso: intere popolazioni dell’universo vorrebbero poter ricorrere a quel fortunato privilegio dei Paesi ricchi -punture per non finire intubati in ospedale o rischiare di morire-, contestato, invece, in patria da una minoranza rumorosa e spesso aggressiva di persone che cavalcano i dubbi e le paure degli incerti. O l’amarezza di chi ha investito nel proprio lavoro e non vede la ripresa. O la polemica politica: la Lega di governo che vota un emendamento contro l’obbligo del lasciapassare.

Ma la realtà dei contagiati, sofferenti o morti da virus è incontrovertibile. Né si discute su una vera alternativa sanitaria di massa alla campagna di vaccinazione. Prevale l’ideologismo: la filosofia della “mia libertà violata” contro l’evidenza scientifica della medicina e della “nostra libertà tutelata”. Un desolante dialogo tra sordi.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi