Che cosa insegna la fuga da Kabul

L’inferno non distingue fra civili e militari, donne e bambini, afgani che fuggono per disperazione e occidentali che se ne vanno per viltà. Gli almeno 60 morti e 140 feriti degli attentati suicidi a Kabul confermano che l’indignazione è senza limiti per l’Afghanistan nel sangue e nel caos. Il marchio della vergogna è da affibbiare a quei politici occidentali e soprattutto statunitensi che hanno deciso, impreparati, la ritirata senza condizioni, dopo 20 anni di sacrifici per il Paese e di grandi sogni evocati nella popolazione. Addio alla pace: l’Afghanistan ai talebani e alla barbarie. Errore storico, forse irreparabile.

La strage degli innocenti è infame. Colpisce i più deboli: povera gente che si accalca intorno agli ultimi voli in partenza, sperando almeno di consegnare i propri figli a soldati e diplomatici caritatevoli. E poi rivela che gli accordi coi nuovi governanti valgono zero: essi non sono neppure insediati, e già il terrorismo dei kamikaze agisce alla luce del sole. Oggi a Kabul, e domani?

Nulla che non si sapesse. I nuovi padroni contro i quali una quarantina di nazioni avevano combattuto -oggi bisogna aggiungere: invano-, non hanno rispetto per nient’altro che non sia il proprio fanatismo preistorico. Bombe dell’Isis in polemica coi talebani? Se così fosse, il nuovo potere integralista perderebbe ogni residua credibilità: incapaci persino di difendere la sovranità del territorio. Ma rischiano molto anche la Casa Bianca e Biden, se non cambiano strategia di fronte a un simile scempio e a tale disumanità.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi