Paolo Borsellino venticinque anni dopo: giustizia non è ancora stata fatta da quello Stato che lui ha servito con rigore e con onore

Venticinque anni sono passati dalla strage di via D’Amelio, come viene chiamato l’omicidio mafioso di Paolo Borsellino a Palermo, e ancora giustizia non è stata fatta. “Troppi errori nella ricerca della verità”, ha detto chiaro e tondo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è pure presidente del Consiglio superiore della magistratura e siciliano come l’eroico magistrato ucciso. Dunque, nel giorno dell’amara celebrazione il suo è un punto di vista istituzionale forte e importante rispetto ai rappresentanti di uno Stato che da allora, e salvo le solite ventiquattro ore di vibrante indignazione dopo l’eccidio, molto male e troppo lentamente si sono mossi per individuare, condannare e buttare le chiavi del carcere per tutti i colpevoli di quell’infame delitto.

Non occorre riascoltare -eppur si deve- le strazianti parole di una dei tre figli del giudice valoroso, Fiammetta, per cogliere il senso di solitudine profonda in cui fu all’epoca lasciato Borsellino -neanche sessanta giorni prima, il 23 maggio, era stato assassinato anche Giovanni Falcone- e oggi la sua famiglia. E’ come se la rabbia istituzionale per le morti atroci di quei grandi italiani andasse, col tempo, scemando fino a scomparire. Peggio ancora, fino ad aprire dibattiti politici e pseudo-intellettuali indecenti, come quello se consentire a un criminale del calibro di Totò Riina, il sanguinario capo della mafia condannato a svariati ergastoli, di trascorrere a casa, anziché in prigione, gli ultimi giorni di vita, posto che è malato. “No alla scarcerazione, qui riceve ottime cure”, ha sentenziato il tribunale di sorveglianza. Ma com’è possibile l’aberrazione dei due pesi e delle due misure, della pietosa considerazione per i colpevoli e dell’oblio per gli innocenti? Perché l’eterna retorica del perdonismo vale per chi non la merita, e chi invece merita d’essere indicato per sempre come esempio di virtù non conta?

Paolo Borsellino era un uomo perfettamente conscio del destino che l’attendeva. Eppure s’è sacrificato per tutti noi, insieme con i cinque agenti di scorta. Come si fa a non aver ancora smascherato tutti gli artefici della strage? “Sono stati buttati venticinque anni”, accusa Fiammetta, e il suo dolore amplifica il nostro. E’ immorale che, al di là delle commemorazioni di rito, Borsellino sia dimenticato da quello Stato che ha servito con competenza, con rettitudine e con onore.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi