Poiché il comunismo è morto e sepolto da svariati anni, nessuno potrà oggi risentirsi se il comune cittadino senza ideologie, né accecato da alcun rancore sociale, si domandi: ma com’è possibile che in piena epoca del tirare la cinghia, nel periodo amaro dei tagli e dei tetti agli stipendi per i manager pubblici che ogni governo invoca e promette, si leggano cifre di buonuscite da capogiro?
Qual è il meccanismo che, a fronte di sacrifici inenarrabili per milioni di lavoratori pubblici e privati, medi e alti dirigenti, persone molto spesso brave e meritevoli ma tutti comunque destinati a liquidazioni ragionevoli (“umane”, avrebbe forse detto Fantozzi), esista e resista il Bengodi per pochi e fortunati? L’interrogativo viaggia sull’onda dell’ultimo caso che si presta alla polemica, e che riguarda l’addio da 25 milioni di euro che sarebbe stato previsto per Flavio Cattaneo dopo neanche un anno e mezzo di incarico come amministratore delegato della Tim. Un addio anticipato, il suo, perché la naturale scadenza sarebbe stata nel 2020 ed è ovvio che anche tale circostanza abbia influito nell’accordo raggiunto tra le parti. Ma il punto in questione -è bene chiarirlo- non è la persona citata, dal percorso professionale importante e riconosciuto. Neppure s’intende qui giudicare il lavoro che ha svolto, e che spetta ad altri valutare. Meno che mai si vuole mettere in dubbio la libertà di Tim e di qualsivoglia altra impresa grande o piccola, specie se è privata, di fare i suoi conti e investire quel che crede nei propri dirigenti. Ciò che invece sorprende è la sproporzione dei compensi in ballo. Come già accaduto per la Rai che, nonostante lo sbandierato limite dei 240 mila euro per manager e dipendenti, si appresta a riconoscere undici milioni e duecentomila euro a Fabio Fazio nei prossimi quattro anni. D’accordo alle deroghe per stelle ed artisti: altrimenti il mercato può portare altrove i personaggi più pagati. Ma esisterà una via di mezzo fra i 240 mila euro che sono già moltissimi -un privilegio per pochi-, e cifre milionarie.
Quando finirà la mortificazione del buonsenso? Quando si vorrà affrontare senza demagogia, ma con un senso elementare di giustizia la realtà delle buonuscite inimmaginabili, mentre a migliaia di pensionati e pensionandi si propongono mutui e prestiti bancari per far quadrare la propria, esigua liquidazione con i sempre più ristretti criteri di fine lavoro dopo quarant’anni di enormi sacrifici?
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi