Dal Sessantotto al Duemilaotto, come cambia la contestazione giovanile (secondo Giorgia Meloni)

Giorgia Meloni è nata a Roma e ha trentun anni. E’ il ministro più giovane della storia repubblicana, responsabile proprio del dicastero della Gioventù nell’attuale governo. Nella precedente legislatura era stata anche la più giovane vicepresidente della Camera. Eletta deputato nel Popolo della libertà, Giorgia Meloni rappresenta Alleanza nazionale, di cui è stata presidente del movimento giovanile, dopo che era stata nominata coordinatrice dello stesso dal leader di An, Gianfranco Fini.

 

Sappiamo tutto dei giovani del Sessantotto, ma non sappiamo niente dei giovani del Duemilaotto. Chi sono e che fanno?

“Sono ragazzi di una generazione diversa da come viene descritta. Giovani costretti a spendersi molto di più dei loro coetanei di allora per costruirsi uno spazio proprio rispetto ai genitori. Nonostante il bombardamento negativo che subiscono, nella grandissima maggioranza i ragazzi di oggi riescono ancora ad avere valori alti di riferimento come la famiglia. E nonostante la precarizzazione di cui tanto si parla, questi giovani hanno ben chiaro quale sia il rapporto giusto con la libertà. Un rapporto che non gli impedisce di gettare il cuore oltre ostacolo per prendersi le responsabilità anche di altre persone, non solo le loro”.

Non una generazione disimpegnata ma, al contrario, intraprendente?

“L’impegno è una costante per molti di questi ragazzi. Il desiderio di “donare” la propria vita per gli altri è fortissimo. Certo, il modo e il mondo del comunicare sono cambiati profondamente. Però io sono convinta che questa generazione sia più positiva di come troppo spesso la si racconti. Si segnala solo o soprattutto la degenerazione del bullismo, oppure la voglia di gridare la propria esistenza attraverso You Tube oppure, ancora, di farsi notare in tv. A volte io stessa sono basita e avvilita dall’approccio semplicistico dei media e della politica sui ragazzi del nostro tempo”.

Restiamo nella politica: perché ha trascurato così tanto e così a lungo i giovani d’Italia?

“In genere la politica tende ad occuparsi delle questioni che possono “tornare” in termini di consenso. Per molto tempo è mancata la capacita di seminare sul dopodomani. Basti considerare la questione delle pensioni, per dire. La politica fatica a immaginare delle riforme strutturali e perciò ai giovani, cioè al futuro dell’Italia, dedica pensieri soltanto in campagna elettorale. Perfino formando le liste in modo puramente strumentale”.

Lei è ministro, ma senza portafoglio. Non si sente a disagio nel ruolo del vorrei ma non posso?

“No, affatto. Non c’è un portafoglio che possa esaurire il compito di disegnare l’Italia di domani. Il mio lavoro non può essere uno spot, ma ha un senso nel saper operare con tutti i ministri, nel saper proiettare il tema della gioventù in ciascuno di essi. Io non credo alle politiche di genere, e anche per questo ho cambiato la dizione del dicastero da “politiche giovanili” in Ministero della gioventù. Il bene è quello della comunità nazionale. Anche quando si realizzano infrastrutture o si pensa a una nuova politica dell’energia, o si prepara un piano-case, ci occupiamo di giovani. Io “voglio”, dunque, e nella misura in cui voglio, “posso”.

Ma da che cosa ci accorgeremo del “largo ai giovani” di questo governo?

“Un esempio piccolo, ma concreto. Per la prima volta nasceranno degli spazi di aggregazione giovanile per autentiche iniziative musicali, di teatro, di cinema, di crescita umana e professionale. Si chiameranno Comunità giovanili”.

Perché gli italiani non fanno figli?

“Fare un figlio nel migliore dei casi è spesso avvertito come un sacrificio, nel peggiore come un lusso. Non è una scelta di libertà, come dovrebbe essere la scelta di diventare genitori. In questo terzo millennio troppe donne sono ancora costrette a optare tra la maternità e un lavoro dignitoso. E’ un’opzione di per sé discriminatoria, e che porta molti a concludere che fare figli costi. Ma questa è una tendenza che dobbiamo e possiamo invertire. La Francia ci è riuscita, e con provvedimenti semplici e ragionevoli, tipo l’asilo-nido condominiale, con persone a turno, e pagate magari anche poco, che però accudiscono i piccoli. Noi abbiamo difficoltà ad avere asili-nido comunali…L’immigrazione non risolve la questione della denatalità. E’ una politica di proiezione sociale che deve poter consentire a chiunque di fare figli a costo zero”.

Perché i governi scommettono sempre e solo pochi spiccioli per i giovani che fanno ricerca?

“Manca, appunto, la proiezione. Siccome la ricerca non dà frutti immediati, si tende a trascurarla. Naturalmente sbagliando”.

Perché l’economia non dà credito ai giovani che intraprendono?

“In realtà l’economia è bloccata da rendite di posizione, da ambienti chiusi, dall’incapacità di “personalizzare”. L’estro, il talento, la genialità degli italiani dovrebbe essere riconosciuta come un “rischio” economico che vale la pena di sostenere. Ma qui si apre una grande questione, la questione del merito”.

Affrontiamola: rispetto al figlio di papà pieno di risorse e di conoscenze, qual è l’incoraggiamento vincente da dare al normale e meritevole “ragazzo di provincia”, che poi rappresenta la grande maggioranza dei ragazzi italiani? 

“L’incoraggiamento del credito per poter partire con l’iniziativa prescelta. Ma ciò che abbiamo conosciuto come microcredito non basta più. L’accordo stipulato con l’Abi (Associazione bancaria italiana), è del tutto insufficiente. Non si può prevedere un’erogazione massima di seimila euro, briciole! Lo stesso vale per il cosiddetto prestito d’onore. Sa quanti giovani ne hanno finora usufruito? Appena duecentocinquanta. La politica deve spendersi laddove la disponibilità delle banche, delle Università o delle regioni si riveli del tutto irrilevante. In questi casi lo Stato deve poter subentrare con un fondo di garanzia, come previsto dall’emendamento approvato di recente, e a cui tenevo molto, per l’accesso al mutuo della prima casa. I giovani meritevoli, “i ragazzi di provincia” devono poter avere gli strumenti per riuscire a farsi valere”.

Ragazze d’oggi: si può dire che la pari opportunità sia stata nella sostanza raggiunta?

“No, assolutamente. Siamo lontani anni luce. Ancora oggi le giovani guadagnano il trenta per cento in meno dei giovani maschi a parità di lavoro. Senza contare che assumere un ragazzo o una ragazza per troppi ancora non è la stessa cosa. Tanto di cappello al primo ministro spagnolo Zapatero, di cui non condivido niente, ma che al ministero, e quello della Difesa, ha mandato una donna al settimo mese di gravidanza”.

Come si esprime l’idea di patria nei giovani del 2008? 

“Direi nel modo più bello, che è quello dell’impegno politico, civile o religioso che sia a favore della propria comunità. Questo è amor di patria. L’uscire dall’individualismo, la scelta di appartenere, di partecipare. Lo scrittore Renan diceva che la patria fosse “un plebiscito che si rinnova ogni giorno”.

E la voglia di ribellione come si esprime, oppure qui non contesta più nessuno?

“E’ il grande limite di questi ragazzi, disposti a farsi raccontare come essi in realtà non sono, e che non dicono niente al riguardo. Questi giovani si vedono peggiori dei propri padri e nonni, ma non lo sono. Eppure, la  maggioranza troppo silenziosa di loro neppure si arrabbia. Mi spaventa il fatto che non si arrabbino quando, per esempio, vengono tutti dipinti e confusi come bulli”.

A parte il “suo” Gianfranco Fini, chi è il più giovane del Palazzo?

“Vado controcorrente: è Giulio Tremonti. Il più vituperato da una certa politica, ma è l’uomo che è riuscito a prendere decisioni coraggiose, e che spesso s’è schierato dalla parte della gente”.

E nell’opposizione?

“Roberto Giachetti (Pd). Per come è fatto, sembra un eterno Peter Pan. Ma il mio è un giudizio di simpatia”.

Chi è invece il più vecchio del Palazzo, vecchio dentro naturalmente?

“Oscar Luigi Scalfaro”.

Ma il suo sogno di giovane, e alla faccia del ministero, qual è?

“Riuscire a dimostrare che a trent’annni si possono fare cose importanti”.

Non teme la prigionia dello stereotipo giovanilista che a lei s’associa? Per dirla chiara: dopo i quarant’anni chi si filerà più l’”ex ragazza” Meloni? 

“Io credo di dover semplicemente costruire e cercare di costruire le cose rilevanti in cui credo. E sono sicura che sarò giudicata per quello, non per i miei anni”.

Destra e sinistra sono cose radicalmente diverse o non sono più niente? 

“No, destra e sinistra sono visioni del mondo contrapposte. Che però a volte dovrebbero anteporre l’interesse nazionale alle contrapposizioni”.

Ma per rubare una battuta di Walter Veltroni, qual è il numero di telefono del Popolo della libertà, partito che governa, ma che ancora non esiste?

“Se viene a settembre alla festa di Azione giovani, se ne accorgerà. Non posso estendere l’invito anche Veltroni, perché è già stato ospite in passato”.

Per caso soffre della maggiore visibilità che noi perfidi giornalisti diamo a tutte le altre ministre, a cominciare dalla citatissima sua collega Mara Carfagna?

“Per niente. Penso che la disponibilità che a volte le donne danno per competere tra loro, sia una delle forme inconsce di un complesso di inferiorità che non dovrebbero avere. Inconsce e degenerative”.

Ma a Mara, che è in un mare di pettegolezzi, almeno un buon consiglio?

“Di lavorare e basta”.

Lei al telefono parla come mangia, cioè liberamente, o saluta il maresciallo all’ascolto? 

“Io saluto spessissimo, e da tempi antichi, il maresciallo in ascolto. Per la verità quel che diciamo al telefono, non sempre ci dipinge alla maniera in cui siamo e viviamo”.

Qual è la priorità dell’Italia?

“Non ho dubbi: la denatalità. Abbiamo bisogno di una strategia seria e duratura contro il declino demografico, che rischia d’essere causa grave di problemi molto gravi, domani”.

Al termine, peraltro lontano, del mandato di Giorgio Napolitano al Quirinale, chi sarà il successivo presidente della Repubblica?

“Potrebbe essere Berlusconi”.

Ma lo sa che per diventare presidenti occorrono cinquant’anni e lei, ministro della gioventù, non protesta?

“Per ora mi basterebbe che elettorato attivo e passivo fossero uguali per Camera e Senato, cioè diciott’anni per tutti. Poi penseremo anche al presidente della Repubblica…”.

Pubblicato il 20 luglio 2008 sulla Gazzetta di Parma