Merano, i cent’anni del Liceo Classico e il fantasma del Carducci (seconda puntata)

Il Liceo Classico più grande d’Italia si trova a Roma e si chiama “Giulio Cesare” (ma gli studenti lo chiamano in amicizia “il Giulio”).

A prescindere dal prestigio di cui gode e dalla quantità di ragazze e ragazzi che nel tempo l’hanno frequentato, a nessuno è mai venuto in mente di cancellare l’importante nome che porta per accorparlo, in maniera anonima, sotto un’altra denominazione onnicomprensiva di tanti indirizzi scolastici. Neppure se il nome pigliatutto fosse “Francesco Totti” (il che è tutto dire).

Ebbene, il Liceo Classico di Merano ha una storia più antica, addirittura, del più grande Liceo d’Italia. Il Giulio, infatti, è nato “solo” nel 1933, cioè ben dieci anni dopo il “Giosuè Carducci” sulle rive del Passirio. Merano prima ancora del Liceo più grande d’Italia.

Ma ora che il Classico meranese si appresta a celebrare, il prossimo 20 maggio, il suo primo secolo di gloria -è il sostantivo pertinente per una Scuola che ha trasmesso amore per la conoscenza e spirito critico a più di 1.400 persone-, manca la cosa principale: il nome con cui il Liceo è nato e cresciuto per quasi novant’anni. Perché, dimenticando o ignorando la sua storia, una dozzina d’anni fa è stato deciso che Carducci, nientemeno che un premio Nobel per la letteratura, il primo italiano a riceverlo nel 1906, fosse un inutile orpello, e gli fu dato il benservito.

E così, dopo che già una politica miope aveva buttato fuori il Liceo dalla sua sede naturale, il pieno centro di Merano, il Classico, depennato il suo nome, è stato pure accorpato con cinque indirizzi scolastici sotto il nome ecumenico di “Gandhi”. Che è un po’ la versione meranese dell’immaginario Francesco Totti per il Liceo della capitale, cioè l’andiamo a cercare una denominazione che vada bene per tutti e così sia. Girava pure l’ipotesi di “John Lennon”, tanto per rendere l’idea.

Ma il punto è che il destino del Carducci non poteva essere lasciato alla mercè del vento che tira. Forse ai nostri padri e nonni, quando arrivano a novanta primavere, togliamo il nome con cui sono nati e cresciuti?  E diciamo a loro che da domani dovranno accontentarsi di chiamarsi con un nome scelto al bazar delle bizzarrie e da usare in condominio con altri coetanei? I nomi sono identità e tradizione. Per questo il Giulio Cesare non diventerà mai Francesco Totti. Neppure se la Roma avesse vinto o vincesse tre campionati di fila, l’Europa League e la Coppa dei Campioni.

Oltretutto nonno “Giosuè Carducci” rappresentava la denominazione della Scuola secondaria in lingua italiana più antica di tutte le altre scuole a Merano. La prima. Non un vecchio brontolone di cui liberarsi: un premio Nobel con la barba, emblema della nostra bella cultura classica.

E’ grottesco dover ora precisare, in omaggio al banalmente corretto, che ogni indirizzo scolastico valga e meriti lo stesso trattamento pratico e storico. Ma, con ogni evidenza, il caso del Liceo Classico è unico a Merano e speciale perfino se paragonato con altri Licei d’Italia.

E così, quando il 20 maggio soffieremo sulle cento candeline della torta secolare, festeggeremo il compleanno di un fantasma. Perché il Carducci non c’è più. Cancellato per non far torto agli altri cinque istituti, anch’essi senza più il loro nome e tutti satelliti anonimi e orbitanti del “Gandhi”.

Tutti uguali per par condicio? Non scherziamo. Non c’è ingiustizia più forte che trattare allo stesso modo cose profondamente diverse tra loro. E la diversità del Carducci è scolpita nella sua lunga, ininterrotta e imparagonabile storia con tutti gli altri istituti. E’ un’eccellenza di Merano e per Merano: perché non deve avere diritto a un nome suo, al nome che ha avuto sempre, al nome italiano che il mondo ha riconosciuto degno del massimo riconoscimento letterario?

Nel proporre il ripristino di una memoria che andava rispettata e non buttata nel cestino (ma stavo per usare un’altra espressione), io non ho chiesto di fare come hanno fatto col “Carducci”, ossia di ghigliottinare “Gandhi”, figura gigante ed esemplare. Ho, invece, suggerito, e sono lieto che l’“Alto Adige” abbia aperto un dibattito costruttivo sul tema, di mettere Carducci a fianco di Gandhi. In concomitanza coi 100 anni, lasciamo il Gandhi, ma rimettiamo il Carducci: dove sta il problema? Come si fa a non cogliere il buonsenso di questa soluzione?

In alternativa, le autorità preposte potrebbero lasciare il “Gandhi” per l’intero complesso e ridare il “Carducci” al solo Carducci. Ulteriore ipotesi minimalista: “Gandhi-Carducci” al solo Classico.

Voglio essere positivo. Se dodici anni fa la voglia matta di cambiare ha portato al Gandhi, oggi il tempo e il mondo che cambiano invocano di riscoprire il senso profondo delle cose.

Col ritorno del Carducci a casa sua, nessuno perderà niente e tutti guadagneranno qualcosa: il grande tesoro della memoria, che è futuro.

E adesso, con la franchezza che solo i vecchi amici sanno riservarsi tra loro, mi rivolgo ad Aliprandini, preside del “Gandhi”, mio compagno di classe nella maturità del 1978. Spetta a lui la prima mossa per coronare il centenario col Carducci ritrovato.

E allora gli dico: dai, Riccardo, fai semplicemente la cosa giusta.

Pubblicato sul quotidiano Alto Adige