La grande e grave questione della denatalità in Italia

Non è più un allarme rosso, quello appena lanciato dall’Istat. Se il governo e il Parlamento non reagiranno in tempo, cioè subito, dovremo considerarlo un vero e proprio punto del non ritorno: nel 2022 la natalità ha toccato il minimo storico dall’unità d’Italia nel 1861, appena 393 mila nati. I decessi rappresentano quasi il doppio dei neonati (12 contro 7 ogni mille abitanti). Se non si supera rapidamente la stagione dell’“inverno demografico”, come la chiamano gli studiosi, il nostro Paese rischia di compromettere il suo stesso avvenire. Di più, il suo “stare al mondo”.

Sono molte le ragioni del calo costante della popolazione residente in Italia, che ora si attesta su 58 milioni e 851 mila unità. Ma non è certo la mancanza d’amore quel che induce le coppie a fare sempre meno figli. Stiamo vivendo, e da molti anni, ciò che è già successo in Francia, in Germania e ovunque, ossia la denatalità nelle società benestanti.

Tuttavia, a differenza dei francesi, dei tedeschi e di tutti gli altri, che sono corsi ai ripari con politiche economiche e strategiche per riportare il famoso numero di 2 figli per coppia, cioè la soglia che garantisce il ricambio generazionale, noi siamo inchiodati all’1,2 e a un mare di parole.

Ma con gli immancabili annunci dei governi in successione, non si risolve il male endemico di genitori e famiglie messi in grave difficoltà per la mancanza di seri benefici fiscali, bancari, sociali (l’eterna discussione sugli insufficienti asili-nido) e quant’altro possa incoraggiare la natalità in Italia.

Per individuare una via italiana delle nascite, basterebbe copiare quel che già hanno fatto gli altri. Qui non è in ballo soltanto il futuro della previdenza e dell’assistenza per i nostri figli e nipoti: è in gioco la stessa idea di una comunità capace di tramandare la propria, straordinaria e antica memoria di padri e madri in figli, come ha fatto per secoli fino al 2022. Al punto che neppure l’apporto degli stranieri sembra compensare il declino demografico, che costituisce anche un danno democratico: una società senza la spinta dei grandi sogni che si coltivano da giovani, rischia di inaridire in fretta, perdendo la speranza e l’identità di sé.

Tocca all’intero arco politico intervenire prima che si troppo tardi con una politica di incentivi per le famiglie, la casa, l’istruzione e il lavoro. Tanti gli spunti e i modelli. Dal quoziente familiare al riconoscimento della cittadinanza italiana per i figli di stranieri nati o cresciuti in Italia, e che spesso sono e si sentono più italiani degli stessi italiani. Dall’autentica pari opportunità nel lavoro alle istituzioni nelle piccole e grandi città in grado di aiutare le madri a non dover scegliere tra famiglia e carriera. Dalle agevolazioni ai genitori ai mutui e prestiti molto più facili per le coppie: l’Italia deve tornare a essere un Paese per giovani, avendo già la fortuna d’esserlo per una popolazione sempre più anziana grazie all’allungamento dell’aspettativa di vita (stimata in 82,6 anni in media).

Ma i nonni devono poter avere nipoti per fare i nonni, e insieme per ridare un senso alla vita nella stagione che non arriva: la primavera della natalità.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi