Coronavirus, quando la magistratura sospende dal lavoro i sanitari che non vogliono vaccinarsi

Nossignori, non si può fare. Dieci sanitari (due infermieri e otto operatori) s’erano rifiutati di sottoporsi al vaccino, lo scorso febbraio, e per questo la direzione delle due case di riposo dove lavoravano li ha sospesi dall’attività. Ora un giudice di Belluno, Anna Travia, ha sentenziato il torto dei sanitari che avevano fatto ricorso alla magistratura contro la sospensione, e la ragione del medico che li aveva dichiarati “inidonei al servizio”, aprendo la strada al loro momentaneo allontanamento, senza stipendio.

“Insussistenti”, ha definito il giudice le argomentazioni dei ricorrenti, sottolineando che è “ampiamente nota l’efficacia del vaccino nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus come si evince dal drastico calo dei decessi fra le categorie che hanno potuto usufruire delle dosi”. Categorie fra le quali il tribunale cita “il personale sanitario, gli ospiti della Rsa e i cittadini di Israele dove il vaccino è stato somministrato a milioni di individui”.

Sono parole destinate a fare giurisprudenza in un ambito di drammatica attualità. Ambito che pure non ha ancora registrato il tanto atteso intervento del legislatore. Di nuovo tocca a un magistrato scendere nel campo vuoto lasciato dalla politica. Da tempo in Parlamento s’annuncia la necessità di una legge per evitare che si metta a rischio la salute altrui, oltre che propria, con la scusa che non esiste l’obbligo di vaccinarsi contro il Coronavirus. Obbligo, peraltro, che, se introdotto, s’aggiungerebbe alle altre 10 vaccinazioni -dall’antipoliomelitica all’antitetanica- imposte ai minori fino a 16 anni.

Ma nel caso della facoltativa, eppur fortemente raccomandata, vaccinazione di massa contro la pandemia, la polemica s’è finora concentrata su chi è in prima linea contro il virus: medici e infermieri innanzitutto. Come possono, proprio loro, tirarsi indietro rispetto a una scelta che la medicina e la scienza considerano decisiva?

Per un datore di lavoro -ha chiarito il tribunale- prevale il dovere di fare in modo che i suoi dipendenti possano agire in sicurezza. A maggior ragione quando gli assistiti sono anziani nelle Case di riposo.

I dieci sanitari sospesi potranno rientrare quando non ci saranno più rischi per gli ospiti, cioè quando la pandemia sarà solo un brutto ricordo. Oppure se ci ripenseranno, accettando di vaccinarsi.

E’ una sentenza che può motivare il Parlamento a fare ora la sua parte.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi