Il banchetto di Roma, l’indagine, gli arresti e una domanda: dov’è finito il “non rubare”?

Si sapeva che la poderosa inchiesta denominata “mafia capitale” fosse solo all’inizio. Ma questa nuova ondata con quarantaquattro arresti di personaggi della politica che vanno dal centrodestra al centrosinistra e con intercettazioni telefoniche che fanno ribrezzo già solamente ad ascoltarle, rivelano molto di più. Rivelano che Roma fosse diventata un banchetto trasversale per corrotti, truffatori, criminali d’ogni risma. Non si sa neanche bene come definire questa fogna a cielo aperto che tutto fonde e confonde, affaristi e delinquenti, gente che di giorno fa finta di combattersi per ragioni (ragioni?) politiche, ma che la sera si preoccupa soltanto di spartire il bottino, di farsi gli affari propri in barba a qualsiasi principio. E, soprattutto, in barba a quei cittadini, la stragrande maggioranza anche a Roma, che hanno solo il pensiero di lavorare o il sogno di poterlo fare, senza vantare santi in paradiso né protettori nei palazzi del potere. Perché all’italiano onesto fa venire disgusto la sola idea di dover bussare al portone sbagliato. “Chi ruba deve andare in galera e pagare”, dice il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ed è l’unica cosa che si possa ragionevolmente, ma inutilmente dire di questo terremoto. Inutile, perché molti di costoro non sono in galera, ma ai comodi arresti domiciliari. E quando la giustizia avrà fatto il suo corso, ben pochi e ben poco essi pagheranno per le ruberie materiali e morali compiute alla capitale d’Italia e ai cittadini romani e non romani, che non comprendono come tanta illegalità abbia potuto prosperare per anni. “Il sindaco Marino si dimetta”, chiede Salvini, quasi da leader dell’opposizione di centro-destra. “Non lascio”, ribatte l’interessato, mentre i Cinque Stelle attaccano il Pd. “Si faccia pulizia”, reagisce il partito sott’attacco. Ma tutto questo è scontato. Ogni forza politica spera di trarre beneficio dall’indagine della magistratura, a cui spetterà il compito di accertare quanto questo “mondo di mezzo” abbia condizionato i mondi sopra e sotto. Tuttavia, non c’è bisogno d’attendere la sentenza definitiva per esigere dalla politica e dal Parlamento una svolta sulla questione morale. Che non è una questione puramente etica. Non dipende dall’indignazione per queste vergogne il dovere di una classe dirigente di essere perbene. “Non rubare” è un comandamento che “vive” da più di duemila anni nel sentire della gente comune. Così come l’idea del “chi sbaglia, paga”. A ciascuno il suo, ma i politici siano all’altezza dei magistrati e degli italiani, che legalità vanno cercando.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi