Il presepe da favola del portiere musulmano Mohamed (detto Mimmo)

E’ il decimo anno di fila che Mimmo costruisce ed espone il suo presepe. Ma stavolta il bambino Gesù nascerà al tempo della pandemia ancora insidiosa, e perciò diversi personaggi rappresentati col Natale di cartone, legno e minuscole strutture in ferro appaiono proprio con la mascherina. Quanto è rigoroso, Mimmo, come si fa chiamare Mohamed Darrat, libico di 50 anni, di professione portiere, ma di mano artigianale e animo artista.

La sua nuova creatura con acqua che zampilla da fontane, fuochi ardenti, barbieri e fabbri, calzolai e pescatori, e pastorelli, insomma il piccolo mondo antico al lavoro, è diventato evento del quartiere Trieste a Roma. Lo sappiamo bene, noi che abitiamo nel condominio oggetto dello stravagante pellegrinaggio grazie al passaparola.

Vengono tutti per vedere, e molti per fotografare, nell’unico palazzo che su piazza Istria esponga il Tricolore in permanenza, un’opera due volte originale. La prima, perché tra l’uso di gessi e carta di giornale per simulare il cemento della grotta divina e l’invisibile ricorso all’elettricità per mettere in movimento la metà della ventina delle figure presentate, il presepe colpisce al cuore. Ma originale è soprattutto il messaggio che emana: l’omaggio di un musulmano praticante (5 preghiere al giorno; la prima alle 5.43) ai cristiani. Accade nel periodo in cui cattolici, perfino, e la Commissione europea, addirittura, raccomandano per iscritto di nascondere il Natale e di vietare i nomi di Maria e Giuseppe per non turbare i credenti di altra fede. Il documento della pavida ignoranza poi di corsa ritirato.

Mohamed detto Mimmo, dunque: tutti devono sapere della sua ormai doppia appartenenza, da quando arrivò in Italia il 5 febbraio 2002. Due anni fa ha chiesto la cittadinanza italiana. L’attende ancora, il richiedente nato a Bengasi e laureatosi in economia e commercio.

In vent’anni il dottore commercialista ha svolto tanti lavori, per esempio il cuoco, prima di mettersi in giacca, cravatta e fazzoletto nel taschino di fronte allo stabile che lo ha reso noto tra i passanti per il tratto elegante con cui si impone all’ingresso, e per la creatività natalizia all’interno dell’edificio: il presepe di Mohamed/Mimmo, osservante del Ramadan e frequentatore della moschea, lettore del Corano e ascoltatore del muezzin che dal telefonino gli ricorda quand’è ora di pregare.

Intanto si prende i complimenti dei suoi conoscenti di Libia, Senegal, Egitto, musulmani anch’essi in processione dall’amico. Che lezione collettiva: un presepe ideato e fabbricato da un fervente dell’Islam che aiuta lo stare insieme fra persone d’ogni credo e nazionalità.

Sotto l’opera il portiere-artista ha scritto “la vita è più forte di tutto”. Il riferimento è al diabolico Coronavirus, unico nemico universale.

Nella sua martoriata Libia Mohamed è tornato cinque anni fa, quand’è morta la mamma Aisha. Ha un fratello magistrato di primo piano a Tripoli e quattro sorelle sparse fra Bengasi, Tunisi e Istanbul. Ma è Roma la nuova e amata Patria di Mimmo.

Pubblicato su Il Messaggero di Roma