Coronavirus, ora il governo sappia valorizzare per la fase 2 le virtù che gli italiani hanno dimostrato nella fase 1

Dopo averci aggredito nella fase 1, quella dell’emergenza sanitaria in atto, ma con le prime luci dell’alba all’orizzonte, il coronavirus già si affaccia per colpirci nella fase 2: la ripresa dopo il contenimento dell’epidemia negli ospedali e nelle case (sesta settimana da reclusi per aiutare medici e malati, e rompere la catena del contagio).

Sarà la peggior recessione dalla crisi degli anni Trenta “e il pil in Italia crollerà del 9,1 per cento nel 2020”, prevede il Fondo monetario internazionale sull’onda dell’impatto devastante che avrà la più grave malattia del secolo, perché fa male alla gente e farà male alle economie. Anche il rimbalzo del 4,8 che si ipotizza per il nostro Paese nel prossimo anno, consentirebbe di recuperare poco più della metà del reddito disperatamente perduto. E perciò saremmo destinati al più grave tonfo in Europa, seguiti solo dalla Grecia. Né consola che per Germania e Francia si prospetti un crollo del 7 per cento e dell’8 per la Spagna: mal comune non è mezzo gaudio per nessuno.

E allora, per risalire, bisogna che già oggi il governo e le istituzioni preposte prefigurino la strategia per riproporre nella fase 2 che s’avvicina, lo spirito straordinario da tutti dimostrato nella fase 1 ancora aperta: come rimboccarsi le maniche e lavorare. In fondo è la virtù sempre testimoniata dagli italiani nelle ore più drammatiche.

Ma stavolta la sicurezza non sarà più un tema di prevalente ordine pubblico. Stavolta la sicurezza dovrà diventare la nuova frontiera per permettere il grande ritorno alla produzione, all’esportazione, all’eccellenza del made in Italy. Rigorosa sicurezza dal virus per tutti: così l’Italia potrà rimettersi in cammino a testa alta e quanto prima.

E poi basta con la facile retorica sull’Europa. Si instauri, invece, un rapporto di intelligente convenienza, come fanno gli altri 26 Stati.

Il governo, dunque, utilizzi ogni leva per farsi dare dall’Unione, senza condizioni, tutto ciò che serve per il rilancio. Si chiami “recovery fund”, Mes o eurobond: al Consiglio d’Europa del 23 aprile il premier Conte prenda e porti a casa qualunque risorsa senza impiccarsi alle parole.

Anche se la vera sfida non si gioca a Bruxelles. Tocca solo a noi elaborare un “piano Italia” ambizioso e intraprendente come lo fu negli anni di speranza e di rinascita nel dopoguerra.

Se il governo e le opposizioni saranno capaci di far valere, insieme o separati, il meglio espresso dagli italiani, nessuna crisi ci fermerà.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi