Coronavirus, un modello Italia dalla sanità all’economia

Dall’estero non ci davano i respiratori e indugiavano a consegnarci le mascherine già pagate in anticipo. Pazienza. Dopo gli errori e le incertezze iniziali a fronte di un virus sconosciuto e micidiale, abbiamo cominciato a costruirceli noi, i respiratori e le mascherine.

Mancavano medici e infermieri per i turni contro la brutale aggressione dell’epidemia nelle zone più martoriate del Paese. Ancora una volta gli altri ci chiusero pure le frontiere della medicina. E allora all’appello per avere, da volontari, 300 camici bianchi e 500 operatori sanitari, subito risposero 1.500 medici e 8.000 infermieri.

E poi: scarseggia il cibo nelle famiglie in difficoltà o senza lavoro, perché chiusi in casa per il bene comune? Niente paura: ormai è gara nazionale tra chi cucina e porta a casa altrui il mangiare e il sorriso.

La riscoperta di quanto sia bello essere italiani è l’arma neppure più segreta (al contrario, evidente di ospedale in ospedale e di balcone in balcone), per vincere la seconda battaglia contro il coronavirus. Per passare dal totale arresto del contagio ancora lontano -guai a mollare proprio ora che il contagio sta calando-, al rilancio dell’economia. Altro ambito da isolati in casa, stando alle notizie dalla solita e sorda Europa, dove la piccina Olanda può bloccare la richiesta maggioritaria di fondi in comune per affrontare insieme il debito e ripartire. “Allentare le regole di bilancio o faremo a meno dell’Europa”, è il monito, mai così realistico, del premier Giuseppe Conte.

Anche ipotizzando un cedimento della Grande Germania, che ragiona da piccola contabile dietro le quinte olandesi, molto lascia supporre che dovremo, di nuovo, fare da noi. Poco male: è la virtù che abbiamo dimostrato affrontando per primi l’ignota malattia e meglio di tutti gli altri, come l’impietosa classifica del contagio testimonia: i Paesi più colpiti peggiorano, mentre solo l’Italia, in controtendenza, migliora.

E allora: scendano in trincea gli economisti per la sfida finanziaria e produttiva. Può andar bene la proposta-Tremonti, che è quella di emettere titoli pubblici a lunga scadenza con rendimenti “moderati ma sicuri e fissi”? Perché non coinvolgere Mario Draghi, il nostro fuoriclasse, e quanti sappiano proporre altri piani di ricostruzione nazionale, come nel dopoguerra, in barba al poco o nulla di Bruxelles?

Perché una cosa è certa: a fronte di buone ricette ben spiegate, gli italiani sono pronti anche a investire in se stessi per il bene di noi tutti.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi