Iginio Straffi, il padre delle Winx racconta e si racconta

Per scoprire il segreto della loro magia, bisogna venire qui, a Loreto, in provincia di Ancona, dove la poesia è voce del territorio. Se le sei fatine delle Winx, il cartone animato “made in Italy”, volano da sette stagioni televisive fra le bambine del mondo, è perché il “papà” marchigiano di cui sono figlie, quando guarda all’orizzonte sente il profumo di Leopardi. Iginio Straffi, nato a Gualdo cinquant’anni fa, ha scelto da tempo di piantare le radici del suo universo immaginario a due passi da Recanati, dove l’Infinito e i “sovrumani silenzi” del maggior poeta italiano dell’Ottocento -e tra i massimi della letteratura internazionale- hanno il sapore di casa. In centocinquanta Paesi vedono quel che cucina in collina un centinaio di sognatori, soprattutto giovani e soprattutto donne, all’opera quotidiana in un laboratorio di fantasia costruito da pochi anni, pieno di verde e di vetri. Ai ragazzi che disegnano, il talento è caldamente consigliato, ma non basta. Per far vivere un cartone italiano che farà il giro del mondo, servono una sceneggiatura -cioè personaggi forti, ambientazione suggestiva e una bella storia da narrare-, effetti e macchine speciali, rumori e colori, montaggi e smontaggi, e tanta pazienza. “Al nuovo cartone che sarà consegnato alle tv nella primavera del 2016, e che per ora ha il nome provvisorio di Royal Academy, stiamo lavorando da ben cinque anni”, racconta Straffi già calato nei panni dei soggetti colorati in rampa di lancio. Lo si capisce perché, delle sue creature pur future, usa i verbi solo al presente. “Viviamo le avventure di un gruppo di pronipoti delle favole classiche”, rivela come se fosse lui stesso parte del racconto. “La serie prevede la pronipote di Cenerentola, il pronipote di Biancaneve, che è un maschio, e altri figli dei figli delle fiabe più celebri. I quali, oltre a fare le solite cose normali, tipo l’andare a scuola, si trovano ad avere missioni importanti da compiere, portando sempre alla luce la parte positiva della “morale della favola” a cui appartengono”. Ma innovazione e tradizione hanno bisogno anche di divertimento. “Giochiamo con i luoghi comuni delle favole”, spiega subito. “Per esempio, camminando davanti a un negozio di scarpe, la pronipote di Cenerentola viene come risucchiata dalla vetrina. Cerca di resistere, ma alla fine cede ed entra in negozio…”.

Lui, il padre delle Winx e presto nonno delle pronipoti animate, da bambino amava Pollicino, “il fratellino più piccolo che, da solo, riusciva a salvare gli altri”. La madre di Straffi faceva la sarta, il padre guidava gli autobus di linea. “Passavo ore in casa ad ascoltare con mia sorella le fiabe sonore consumate col disco della Fabbri in un mangiadischi bianco”, rievoca quasi con tenerezza. “I fascicoli allegati avevano delle illustrazioni stupende, frutto dei grandi Maestri italiani. Inseguivo già allora una felicità fatta di momenti”. La personalità del bambino che l’intera sua vita avrebbe dedicato ai bambini (“passiamo tutta l’esistenza a rincorrere la nostra infanzia”, diceva uno scrittore), si afferma in quarta elementare durante la sfilata organizzata dalla scuola. “Io mi identificavo molto con un personaggio che non era famoso, come lo erano Zorro, Sandokan o la principessa Sissi per le bambine”, ricorda. “La maestra annunciava la mia comparsa in costume, un costume naturalmente ricavato e ricamato dalla mia mamma sarta. Ecco il comandante Mark, diceva, indicandomi. Ma nessuno capiva. Mi ero immedesimato in quel personaggio dei fumetti-Bonelli che era un ribelle contro le Giubbe rosse durante la guerra d’indipendenza americana. Mi sarebbe piaciuto anche sfilare come Tarzan. Ma non potevo certo andare in giro col perizoma leopardato.…”.

L’uomo che viaggia da anni sulle ali delle Winx e di altre produzioni internazionali come Gladiatori di Roma o Huntik, si formò ventiseienne a Parigi, “dove ho scoperto la potenza del cartone animato”. Quell’esperienza oggi la rivive così: “L’animazione italiana era molto artigianale, piccole realtà che lavoravano tutto a mano. In Francia, invece, c’erano gli studi industriali. Tu eri parte di un gruppo di professionisti e ogni settore aveva una sua competenza. Il tuo lavoro non finiva, quindi, come l’avevi concepito in origine. A volte meglio, a volte peggio. Però andava a finire in tv o al cinema, non si riduceva a filmetto da mandare al festival né a semplice spot. Per me fu la svolta”.

L’arcobaleno degli incontri e dei viaggi veri e fantasticati l’ha coronato in due modi: battezzando proprio “Rainbow”, arcobaleno, il laboratorio di schizzi e di idee all’ombra di Recanati, e sposando Joanne Lee, di Singapore, “che mi ha aiutato moltissimo nel nuovo progetto animato”. Progetto che per la prima volta avrà il giudizio della bambina più severa, la figlia Isotta di ventun mesi.

Ma questa è tutta un’altra favola.

Pubblicato su Il Messaggero di Roma