Ritratto di Jannik Sinner, simbolo di un Alto Adige che è già domani

Con quel volto un po’ da cartone animato e l’andatura spensierata di uno che sembra chiedersi “ma io che ci faccio qui?”, il ventunenne Jannik Sinner è un campione molto diverso rispetto all’ambiente sportivo internazionale in cui vive da protagonista: un idolo fuori dal mondo.

Lui parla poco e dice l’essenziale: preferisce far parlare la racchetta. Non è attratto dalle polemiche, il ragazzo, né dentro né fuori casa, la casa del suo tennis universale. E quando può, fra partite, allenamenti e viaggi in giro per i continenti, si ritaglia lo spazio per ritrovare la famiglia che gestisce un rifugio (e che l’ha educato assieme al fratello Mark: il papà e cuoco Hans Peter e la mamma Siglinde addetta alla sala), e gli amici d’infanzia.

Per fortuna c’è internet: collegarsi da ovunque con chi ti vuol bene, e che bene ti voleva anche quando non eri il primo tennista d’Italia e da Sesto in Pusteria non eri ancora arrivato a essere il numero 9 del mondo, significa saper cogliere, pur così giovane, il senso della vita.

Sinner è un esempio proprio perché non si erge a esempio di niente e di nessuno. Né quando vince, né quando perde, come capita ai migliori.

E allora bisogna chiedersi se un po’ di merito in questo fuoriclasse che piace, anche se nulla fa per piacere, non sia frutto della terra laboriosa in cui è nato, l’Alto Adige, e della Nazione creativa che l’ha plasmato, l’Italia.

Di più: vuoi vedere che con la sua anima tedesca e il suo cuore italiano il giovane Jannik sia il prototipo di quel “c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico” che, col permesso di Pascoli, possiamo scoprire fra le Dolomiti? Guardando a ciò che Sinner incarna, ossia l’essere un figlio delle identità tedesca e italiana mescolate con sapiente felicità, si può per caso intravedere un futuro dell’Alto Adige in cammino forse non così lontano?

Certo, da molti anni lo sport altoatesino offre prove, e in ogni disciplina, di quanto sia bello e importante essere atleti di lingua tedesca e allo stesso tempo avvolgersi nel Tricolore dopo la vittoria. Centinaia di campioni e campionesse lo confermano. Altoatesini sono stati perfino portabandiera ai Giochi Olimpici, da Armin Zöggeler a Isolde Kostner e Carolina Kostner, al leggendario Gustav Thöni in precedenza, solo per citare alcuni grandi fra i molti azzurri di quassù.

Ma nel caso di Sinner c’è un passo in più nella lunga marcia di piena e serena identificazione fra il suo e nostro Südtirol e la sua e nostra Italia. Non solo per l’età che lo rende imparagonabile con altri, o per le difficoltà dello sport praticato e popolarissimo, perciò con temibili e preparatissimi concorrenti. Ma anche per il contesto globale in cui Sinner si muove con disinvoltura, alternando l’inglese all’italiano e al tedesco (e buttandosi con lo spagnolo, come ha rivelato, dopo un’epica partita, lo sconfitto Carlos Alcaraz, il vero antagonista dei prossimi dieci anni).

Jannik mostra all’universo, e scendendo per li rami al microcosmo della provincia di Bolzano, che l’identità si rafforza quanto più la spalanchi, e che essa inaridisce quanto più la recinti. Il campione è un perfetto testimone del tempo che passa e del mondo che cambia anche in Alto Adige: un maso non più chiuso, ma aperto.

A colpi di dritto e di rovescio irresistibili, il magnifico tennista di San Candido e numero uno della Nazionale azzurra sembra dirci che Heimat e Patria possono convivere senza tabù. Come se l’amare e il frequentare le due lingue e culture non fosse più soltanto e per tanti un fatto familiare in automatico, o passivo scolastico o funzionale per lavoro, bensì una conquista fraterna e consapevole di cui essere orgogliosi.

E’ il vento di un approccio tranquillo e maturo: il piacere di sentirsi, con la naturalezza del cartone animato che passa lì per caso, altoatesini di lingua tedesca e allo stesso tempo appassionati interpreti della Nazione italiana. Senza più muri che separano. Tranne quello innalzato dalla rete fra i due giocatori che si sfidano all’ultima pallina sul campo.

Ma a uno col talento di Jannik neanche quel muro fa più paura, ormai.

Pubblicato sul quotidiano Alto Adige