Quando l’odio corre sul web (e il rimedio si chiama educazione)

Bisognerà aggiornare la celebre e sarcastica affermazione di Umberto Eco sui social media, “che danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Correva l’anno 2015, ma da allora gli odiatori hanno di gran lunga superato i cretini, per restare alla beffarda e controversa riflessione che fece Eco, scatenando un pandemonio non solo in rete.

La conferma che l’astio sia l’unica bandiera difficile da ammainare per quella parte di popolo incattivito del web, arriva via tv e da Sanremo, il festival più tradizionale e popolare che ci sia, specchio dell’Italia e dei suoi cambiamenti anche telematici. Nel giro di poche ore ben due scontri tra personaggi hanno avuto un immediato e rancoroso risvolto sui social. Il primo a denunciare questo rischio con un “mi ha scatenato l’odio in rete”, riferendosi a Tiziano Ferro, è stato Fiorello, che da tempo frequenta con comica disinvoltura la comunicazione web. L’equivoco tra artisti in dura polemica fra loro è stato poi chiarito con tanto di abbraccio e bacio. Ma è significativa quale fosse la preoccupazione principale paventata da Fiorello: il livore in rete.

Qualcosa di simile è avvenuto per l’altro litigio in mondovisione fra Morgan e Bugo con reciproche e pesanti recriminazioni sul palco e fuori. E con l’immancabile seguito degli eserciti su twitter per commentare -si può immaginare come- il sorprendente putiferio.

Ma c’è poco da ridere, se si pensa alla recente tragedia a Brescia, dove un vigile s’è ucciso dopo essere stato bersagliato su Facebook per aver parcheggiato in un posto per disabili. E s’era scusato e multato.

“Agire contro l’odio”, ha esortato Luciana Lamorgese, ministro dell’Interno. Quasi un monito: l’ira telematica tracima e può diventare l’umore, anzi, il malumore neanche più invisibile, ma sputato in faccia da chi coltiva rabbie incontenibili e spesso incomprensibili.

Eppure, contro l’odio straripante in internet qualcosa si può fare. A parte una più puntuale -ma non facile: guai a comprimere la libertà- legislazione al riguardo, la vera terapia forse si chiama educazione. Terapia molto lenta e complessa, ma alla portata di tutti, perché l’educazione si trasmette già in famiglia e a scuola. Generazioni leggermente più educate, faticherebbero a sfogarsi in modo bestiale approfittando del (presunto) anonimato in internet. O, al contrario, firmandosi per rivendicare un diritto inesistente: il pubblico diritto all’odio che fa male anche a chi lo pratica, e non solo a chi lo riceve.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi