Coronavirus, ultima chiamata per l’Unione europea

Se invece che pontificare su spread e parametri dalle loro dorate poltrone passassero tre minuti fra i reparti ospedalieri italiani in trincea contro il coronavirus, gli alti rappresentanti delle istituzioni europee capirebbero perché essi valgono così poco e noi così tanto. Mentre in Italia medici, virologi e infermieri mettono a rischio la loro vita per salvare quella degli altri, e il governo con il consenso di tutta la politica adotta misure draconiane come si conviene quando la patria chiama, Lorsignori (e signore: Christine Lagarde in primis) ancora ballano sul Titanic. “Daremo all’Italia tutto quello che chiede”, prova a correre ai ripari Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Ue, dopo l’insolente indifferenza per l’Italia dimostrata nella sua prima dichiarazione istituzionale dalla Lagarde, imbarazzante erede di Mario Draghi alla guida della Bce.

E’ una di quelle “personalità” che non ha ancora visto l’iceberg infettivo avvicinarsi, alla stregua dei governi di Berlino, Parigi e Londra che rispondono con mezze misure all’insidia gravissima della malattia circolante ovunque, dopo aver lasciato al suo destino l’Italia, cioè proprio l’unico Paese che ha preso la pandemia sul serio.

Ma adesso con ritardo, eppur significativamente, si sveglia Donald Trump, che dichiara lo stato d’emergenza negli Stati Uniti.

Il presidente dà così un segnale forte all’universo, che mette ancor più a nudo il tentennamento europeo. Come se la drammatica ed eroica lezione italiana non avesse insegnato niente a Bruxelles. Come se l’aver messo in forte difficoltà la propria e potente economia nell’intento, prioritario, di salvaguardare il senso della vita, non fosse già un motivo sufficiente per indurre l’Unione europea a intervenire. Persino Washington anticipa l’Ue: il colmo.

Il modello sanitario che l’Italia sta offrendo all’universo poggia su cuore e intelligenza. Vola sul canto della gente dalle finestre e dai balconi delle loro case, dove siamo tutti forzatamente reclusi: la forza della libertà. Cantiamo, dunque, per dare una mano (solo simbolica: già sappiamo che la mano, pulita, non si dà a nessuno per almeno tre settimane) a chi si batte negli ospedali per noi.

Solidarietà è per gli italiani un valore non negoziabile, e lo sventoliamo anche col canto alla faccia del morbo, che sconfiggeremo. E in barba a quest’Europa del nulla: il coronavirus è la sua ultima chiamata.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi