Nel nome di Rousseau (la piattaforma, non il filosofo)

L’attesa per il verdetto di Rousseau, inteso come piattaforma di votanti a Cinque Stelle e non come il celebre filosofo del Settecento da cui prende il nome, dura tutto il giorno del giudizio. Poi alle 21.30 scocca l’ora del prevedibile anche se non scontato risultato: gli iscritti al referendum via web, decretano con una maggioranza del 59 per cento che non si debba accogliere la richiesta del Tribunale dei ministri a Catania. Sono i magistrati che vogliono procedere nei confronti del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per sequestro di persona aggravato nella famosa e fumosa -tanta e tale è la nuvola di polemiche e di cavilli che l’avvolge-, vicenda della nave Diciotti.

“Il governo va avanti”, aveva detto il leader pentastellato Luigi Di Maio prima ancora di consultare on line i propri sostenitori. Il responso, a cui hanno partecipato 52.417 persone, toglie ai senatori del Movimento ogni eventuale imbarazzo nel negare l’autorizzazione sollecitata dai giudici, appoggiando così la linea di Salvini. Che è anche quella rivendicata dal premier Conte e dal governo: l’aver fatto valere un interesse nazionale. Ora la patata non più bollente passa alla Giunta delle immunità del Senato, già convocata per il verdetto che conta.

“Sono sereno, ho solo difeso la Patria”, ripete con orgoglio il ministro indagato per la Diciotti. E’ la nave che attraccò il 20 agosto al porto catanese, proveniente dalla Libia, con 177 migranti all’inizio trattenuti a bordo per ordine di Salvini. Infine tutti sbarcati, dopo cinque giorni di assistenza in nave, ma di contrarietà ad accoglierli in Italia, per essere distribuiti fra Chiesa cattolica, Albania e Irlanda.

Ma il caso che suggellò il nuovo e irremovibile corso della maggioranza gialloverde contro l’immigrazione irregolare fra le proteste dell’opposizione di sinistra e di una parte importante del mondo cattolico, passa in second’ordine rispetto alle critiche per la scelta a Cinque Stelle: la volontà degli iscritti a una piattaforma anteposta alla sovranità di chi è stato eletto dal popolo per rappresentare liberamente la nazione (articolo 67 della Costituzione).

Da destra a sinistra è un fuoco di fila, dunque, contro la formulazione del quesito sottoposto ai militanti, i rinvii e altri aspetti della consultazione. Ma soprattutto contro il sorprendente principio che ne è alla fonte: il legislatore che, per decidere in Parlamento, si affida all’attimo fuggente dei seguaci di Rousseau. E non il filosofo.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi