Ma in democrazia chi ricorre alla violenza ha sempre torto

Ultime notizie dalla sempre più incendiaria campagna elettorale. A Pisa pietre, bastoni e bottiglie dei cosiddetti antagonisti hanno colpito la polizia schierata a protezione di un comizio di Salvini. A Torino bombe-carta con chiodi e bulloni hanno bersagliato gli agenti: erano i centri sociali che contestavano Casa Pound. A Perugia un militante di Potere al Popolo è stato aggredito e accoltellato mentre affiggeva manifesti. E il giro d’Italia della riesumata violenza politica in piazza (roba che non si vedeva dagli anni Settanta), oggi potrebbe far tappa a Roma. Dove s’annunciano ben cinque manifestazioni diverse in un clima gelido in tutti i sensi. “Fatti gravissimi”, denuncia il Viminale sull’ondata di teppismo e di anacronismo. Tra aggressori si scambiano accuse di fascismo e rivendicazioni di antifascismo. Ma in democrazia chi ricorre alla violenza ha sempre torto.

Sale la tensione, dunque, dopo decine di episodi. Il primo a partire dalla folle sparatoria di Macerata, il 3 febbraio, contro inermi immigrati a Macerata da parte di un estremista di destra. Cambiano i protagonisti e i colori di chi professa odio per gli avversari, e pensa di regolare i suoi conti ideologici con gli scontri e i pestaggi. Ma l’esito del contrapposto rancore è quasi sempre lo stesso: a fare le spese dei provocatori, sono soprattutto i poliziotti e i carabinieri, chiamati ad assicurare il diritto di parola che la Repubblica garantisce a tutti. Specie quando si va al voto, e i cittadini hanno il diritto di sapere che cosa propongono i partiti. E i partiti hanno il dovere di spiegarlo.

Eppure, a queste teste vuote -non importa se rasate o, al contrario, da cappelloni-, non interessa proprio di ascoltare il punto di vista altrui. Tanto meno di guardare senza paraocchi la realtà della sfida politica sotto gli occhi del mondo (anche delle telecamere che hanno ripreso il terzetto Gentiloni, Merkel e Macron al vertice di Bruxelles): come dare stabilità al prossimo governo, qualunque sarà il risultato delle elezioni. In che modo far sentire la voce dell’Italia dove si decide, cioè in Europa. Che fare per consentire ai vincitori del 4 marzo, qualunque sarà la “formula” che il Quirinale vorrà adottare per rispettare il verdetto degli italiani, di prendersi le responsabilità. Senza perdere neanche un secondo dell’auspicabile nuovo tempo di ripresa, di lavoro, di produzione nell’interesse di tutti i cittadini.

Che c’entra la brutale violenza con tutto questo?

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi