La sceneggiatura? E’ il segreto di un buon film. Il regista? E’ il comandante della nave. Parla Dino Risi, Maestro della commedia italiana

Novant’anni, di cui più della metà vissuti come regista tra i maggiori del cinema italiano. Al milanese Dino Risi s’associano film intramontabili, da “Poveri ma belli” (1956) a “Una vita difficile”, da “Il sorpasso” a “I mostri”, da “Profumo di donna” a “In nome del popolo italiano” (1971). Ha diretto i migliori attori italiani, in particolare Vittorio Gassman. Nel 2002 il festival di Venezia gli ha conferito il Leone d’oro alla carriera. 

 

Da tempo l’immagine è diventata il principale mezzo di comunicazione. Il cinema ha la grande occasione per rilanciarsi o la sta paradossalmente perdendo?

“Il cinema ha rivoluzionato molte cose, ha inventato un modo di vedere: possiamo dirlo, ora che sono passati novant’anni dal suo inizio. Certo, c’era il teatro, ma era altra cosa; e anche oggi ha conservato il suo ruolo elitario. In genere si pensa che il teatro sia “più intelligente” del cinema. A Roma ci sono una settantina di piccoli teatri, quasi quanto il numero di sale cinematografiche. E hanno il loro pubblico, perché alle signore piace andare a teatro. Alcune di loro possono mettere il visone, farsi fare i capelli, possono dire “c’ero anch’io”. Invece al cinema è buio e non ti vede nessuno”.

Il cinema ha cambiato anche il modo di pensare, oltre a quello di vedere?

“Nel suo “piccolo” forse sì. Ci sono stati anche dei film che hanno fatto pensare come alcuni grandi libri. Ma il suo talento è soprattutto visivo. Un po’ come la fotografia, che ha dato un colpo abbastanza duro alla pittura. Quest’ultima è stata a sua volta costretta a rinnovarsi, ad ammodernarsi”.

Restiamo alla similitudine: anche la televisione ha dato un colpo al cinema?

“In misura minore. Il cinema è dovuto diventare popolare, s’è dovuto trasformare nell’evento “di tutti”. La relazione fra i due mezzi di comunicazione è interessante. Io dico sempre che nella sostanza la televisione ha danneggiato il cinema. Mettiamola così: la tv vive di cinema e il cinema muore di tv, come testimoniano le troppe e troppo vuote sale cinematografiche. Anche se oggi c’è un rapporto importante e dobbiamo, anzi, ringraziare la tv se il cinema esiste. Ma esiste come cinema in casa, come film in cassetta, come dvd dalla visione formidabile, quasi la perfezione”.

Ci sono tanti modi di far cinema oppure Hollywood ha globalizzato quest’arte? 

“Hollywood è il cinema di alto consumo, il cinema fatto coi dollari, il cinema ricco, da grande spettacolo. Noi non possiamo competere con quel genere di cinema. Possiamo però competere con delle idee. Una buona idea può battere il colosso americano”.

Quali sono le caratteristiche che fanno conoscere e riconoscere il cinema italiano?

“Si può parlare di cinema italiano come si parla di cinema francese, tedesco, spagnolo. E americano, naturalmente. Per storicizzare, ogni tanto i critici e quelli che si occupano di cinema inventano delle etichette. Hanno bisogno di incasellare. E siamo di nuovo alla pittura: l’”Impressione” per il quadro di Monet? “Impressionismo”. Quel fenomeno artistico ha conglobato tutto quel che rompeva i canoni classici della pittura. Il cinema direi un po’ meno. Quello italiano ha comunque avuto e ha tante identità, tanti momenti, dal  neorealismo alla commedia all’italiana. A me però paiono dei capitoletti per comodità di lettura. La verità è che ci sono film belli e film brutti, così come grandi libri e piccoli libri, no? Invece anche la letteratura ha bisogno della sua rassicurante classifica, e tutti a discettare sul romanticismo, per esempio… La mia classifica è un po’ più semplice: film importanti e film non importanti”.

Ma da che cosa dipende, alla fine, la riuscita di un buon film, di un “film importante”: dal bravo regista, i tanti soldi, la sceneggiatura ben scritta?

“Ci sono film di cui gli autori sono tanti. Qualche volta l’autore può essere il direttore della fotografia oppure può essere il musicista. Oppure lo scenografo. Quando tutti questi stanno bene insieme, può nascere un bel film. Ma la sceneggiatura è il libro del cinema. Hitchcock diceva che, per fare cinema, le cose importanti sono tre: la sceneggiatura, la sceneggiatura e la sceneggiatura”.

Oggi le sceneggiature sono penosette, o no?

“Oggi vanno molto questi film a puntate, che stanno sostituendo il libro. E hanno successo”.

Ma il regista è solo un direttore d’orchestra?

“Il regista è il comandante della nave. Il regista è quello che “fa” il film, perché ha in mano tutto, dalla scelta degli attori a quella degli operatori, agli ambienti da riprendere. Perché Fellini era un grandissimo regista? Perché era bravo anche a scegliere i suoi collaboratori. Se togli la musica di Rota a un film di Fellini, il film perde il quaranta per cento. O la fotografia di Martelli o le scenografie di Gerardi. E poi non si sottovaluti il ruolo dell’attore, che “fa parte” del film. Tant’è che si sceglie di andare a vedere quel film perché c’è quell’attore o quell’attrice”.

Dei suoi film si parla e i suoi film si proiettano ancora adesso; e alcuni hanno toccato il mezzo secolo di vita. La sua generazione era più brava o aveva meno concorrenti dell’attuale?

“Chi lo sa, può darsi che fra cinquant’anni si parlerà e si vedranno i film dei nostri giorni”.

Dice?

“Certe cose sono imprevedibili. Come oggi si guardano i film di Matarazzo, per esempio. Sono persino diventati oggetto di culto! Penso che anche domani si potrà raccontare dell’attualità come di un periodo di storia, di un periodo del cinema”.

Non li trova troppo intimisti e troppo poco comunicativi i film dei nuovi registi, che ci raccontano i fatti loro anziché i fatti nostri?

“Qualcuno ha definito “tre camere e cucina” quest’aspetto di cui si dice molto. Ma secondo me non è vero, ci sono film molto buoni, registi bravissimi e buoni attori. Certo, quest’ultimi non sono più quelli dei miei tempi, di trenta o quarant’anni fa, quelli che si chiamavano “i colonnelli”: Gassman, Tognazzi, Sordi, Manfredi, Mastroianni…Oggi non ci sono attori di quella forza. Ma in questi ultimi anni io ho visto film buonissimi, e potrei citarne almeno una ventina”.

Tipo, (e senza ricordarli proprio tutti e venti)?

“Non vorrei far torto all’uno o all’altro. L’imbalsamatore, per dirne uno. E dei più recenti, ricordandoli come mi vengono: La seconda notte di nozze di Avati, il Caimano di Moretti, Romanzo criminale di Placido, Caterina va in città di Virzì. Ma anche Sorrentino è bravissimo”.

Dunque, ha un futuro il grande passato del cinema italiano?

“Bisogna ragionare come per i vini: ci sono e ci saranno le annate buone e quelle meno buone”.

E’ ancora politicizzato il nostro cinema?

“Lo è stato abbastanza. Secondo me la politica non dovrebbe diventare argomento di film. A meno che sia satira. Ma in un film la politica disturba”.

Il film della sua vita, quello che più ha amato -e lasciando stare i suoi- qual è?  

“Dei miei non ce n’è neanche uno…”.

Ma cosa dice…?

“I film importanti vuol sapere, eh? Io direi che sono stato anche influenzato da Billy Wilder, forse il mio regista preferito. E io, nel mio piccolo, ho fatto dei film-commedia e dei film quasi drammatici. Un po’ di tutto, mi interessa tutto”.

Dei suoi a quale si sente più legato, quale le ha lasciato il ricordo più forte?

“No, io non parlo dei miei film. C’erano quelli che mi sono divertito a fare. E poi quelli che ho realizzato pensando di fare qualcosa di buono. E infine quelli che sono stati una vacanza. Dico la verità: se non mi divertivo, non riuscivo a fare il film. E mi sono divertito quasi sempre. Mi piaceva molto improvvisare. Oggi è più difficile, perché la televisione ha livellato ogni cosa. Oggi devi piacere per forza a una grande platea, devi stare attento a piacere a tutti”.

Con gli attori il rapporto andava oltre il set?

“No, no, appena finivo, scappavo, non volevo vedere nessuno. Anche quando giravamo in esterno, a Roma, me ne andavo per conto mio. Certo, con Gassman eravamo amici, capirà, ho fatto venticinque film con lui: trent’anni di vita insieme! Un altro amico era Tognazzi e credo che pure Mastroianni lo sarebbe diventato, ma ho fatto pochi film con lui. Con loro stavo volentieri, ecco”.

Con Gassman c’era anche una sintonia intellettuale che vi univa…

“Era un uomo di notevole intelligenza, un mostro d’attore. Era come il grande attore di una volta. Ha avuto il coraggio di scendere da Shakespeare a Totò, sbarazzandosi di quel classicismo; che poi i classici di solito sono noiosissimi. Gassman aveva un pubblico, io gli dicevo, di maestre. E siccome le maestre erano sessantamila in Italia, poteva contare su sessantamila spettatori, un bel numero! E poi ha tentato di capire che cos’era l’attore cinematografico, diverso da quello sulla scena. Sulla scena doveva quasi gridare per farsi sentire dalle ultime file. Invece al cinema si può parlare perfino sottovoce con delle espressioni particolari. Difatti i primi film che Gassman ha fatto erano un po’ ridicoli, quasi come il cinema muto, perché esagerava tutti i movimenti, le facce. Poi ha capito, ha capito guardando Tognazzi, nato sul palcoscenico del varietà, grande scuola, quella!: hai il pubblico sotto che, se non è contento, t’arriva -come ha raccontato Fellini-, il gatto morto in scena”.

Il suo giudizio, da regista, su Alberto Sordi?

“Un altro fenomeno. Ma era troppo Sordi, si piaceva, dovevi stare a sentire “quello che dice Sordi”, non avevi dialogo. Con Tognazzi, al contrario, s’andava persino a tavola. Faceva il cuoco. Malissimo, ma ci facevamo dei bei pranzetti. Anche Mastroianni è, era un po’ così. A me sembra che siano tutti vivi, ancora…”.

Dell’icona Sophia Loren che cosa racconta?

“Icona è una parola che io proibirei. A chi la pronuncia, indico subito la porta: guardi, è là. Sophia Loren è stata americanizzata da Ponti ed è diventata una stella, anzi, una “star” come poche attrici italiane, come la Lollobrigida, la Cardinale, la Magnani. Era difficile attraversare l’Atlantico. Sordi, per esempio, non è andato al di là di Parigi”.

Presto avremo il tradizionale Festival di Venezia e la novità della Festa Internazionale di Roma. Un consiglio per il cinema italiano? 

“Ah, no, facciano quelli che se ne occupano. Ma il segreto per fare del buon cinema è fare dei buoni film, è fare dei film importanti”.

Pubblicato il 20 agosto 2006 sulla Gazzetta di Parma