La denuncia di Davigo sulle ruberie nella politica? Un’amara verità

E’ l’ora dei pompieri. Provano tutti a buttare acqua per spegnere la polemica incandescente del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, e soprattutto simbolo di Mani Pulite, Piercamillo Davigo, che parlando a Pisa ha lanciato l’allarme contro la corruzione dilagante. Precisando che i politici di oggi “rubano più di prima, solo che ora c’è meno vergogna”. Sia da parte del Consiglio superiore delle toghe, sia da parte del ministro della Giustizia, Orlando -oltre che del presidente del Consiglio, Renzi-, si è levato un coro trasversale per reclamare toni più bassi e reciproco rispetto.

Lo stesso Davigo ha poi puntualizzato che il suo grido di denuncia non era rivolto contro tutti i politici. Ma al di là degli inviti al “senso di responsabilità” fatti da ogni parte, e alle richieste dei partiti che i magistrati parlino solo con le sentenze, il fuoco cova sotto la cenere.

L’opposizione, in particolare quella di Beppe Grillo, condivide in pieno la requisitoria di Davigo: segno che lo scontro in atto ha già le sue ricadute elettorali in vista delle prossime amministrative.

D’altra parte, ventiquattro anni dopo l’esplosione di Tangentopoli nel 1992 a Milano, sarebbe arduo per chiunque affermare che la lotta alla corruzione stia andando alla grande, se proprio a Roma c’è un inchiesta denominata, nientemeno, che “mafia capitale”. Oppure dire che il furto sia estraneo alla politica, se perfino un esercito di consiglieri regionali -più di cinquecento- d’ogni parte d’Italia è stato indagato per l’uso “disinvolto” dei fondi per l’attività politica. Quella frase di Davigo può risultare inopportuna per alcuni o ingiustamente generica. Però è inutile fare gli ipocriti: contiene una verità innegabile e amara. Una verità che qualunque cittadino italiano è in grado di cogliere non solamente leggendo la cronaca, mai così nera, dei giornali, ma anche vedendo quanta inefficienza, incompetenza, inconcludenza dominino nel settore pubblico e nella politica. L’ideale terreno di coltura per la disonestà, piccola o grande.

Se le parole di Davigo fossero infondate, a indignarsi non sarebbero stati i partiti, ma la gente. Invece oggi rubano e neppure se ne vergognano: chi osa contestare che in troppi casi non sia proprio così?

E’ vero, i politici non sono tutti uguali, e i cittadini sanno distinguere perfettamente. Ma la denuncia contro la corruzione non è un capriccio di Davigo: è la società che non ne può più.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi