Guerra di Putin, la questione energetica e la questione burocratica

Plichi, bolli, cavilli: non manca nulla nella Repubblica fondata sulla burocrazia e sulle calende greche. In questo caso più ancora che romane: la già rinomata tradizione del rinvio.

Ora che la sciagurata guerra di Putin presenta il conto anche energetico agli europei dipendenti dal suo gas, con tedeschi e italiani in prima fila a pagare tariffe alle stelle, ci siamo accorti di quale danno economico abbia provocato l’assoluta mancanza di una strategia politico-istituzionale negli ultimi quattro decenni. E’ come se il disastro di Chernobyl (1986) abbia fatto anche da detonatore di tutte le nostre paure per lo sviluppo sostenibile, senza neppure richiedere lungimiranza e competenza alla politica sulla linea da seguire dopo il precipitoso abbandono del nucleare in Italia. Unico fra i grandi Paesi industrializzati ad averlo fatto in quel modo e senza investire in fonti alternative. Della serie: intanto spegniamo le centrali e poi si vede.

Ma, purtroppo, non s’è visto niente e oggi siamo due volte alla mercé di Putin che bombarda l’Ucraina: col rischio che le forniture ce le tagli lui per ritorsione o che ne facciamo a meno noi per sanzionarlo.

Tuttavia, se ogni altra nazione d’Europa ha già pronte altre carte per reagire all’eterno ricatto, noi giochiamo al buio. E il primo esempio nella Repubblica del Tar, l’altra metafora di una nazione dove i ricorsi contro ogni innovazione sono la sola certezza (oltre alla lentezza per definirli), viene proprio dall’alto. Può ritardare anni -non giorni o settimane: anni- la semplice emanazione di decreti che modifichino decreti precedenti. Per poi scoprire che sono oltretutto scritti in ostrogoto, anziché in italiano, e dover così perdere altro tempo per decifrarli con l’aiuto di esperti dell’incomprensibile.

Se sono i governi per primi a frenare la crescita con un approccio borbonico ai cambiamenti, come facciamo poi a sognare la rivoluzione digitale, la transizione ecologica, le nuove sfide del Pnrr?

Eppure, la burocrazia non è un male incurabile. Basterebbe applicarsi, come testimonia il nuovo ponte di Genova. Un’opera fondamentale e formidabile costruita con procedure rapide, trasparenti, efficienti.

La stessa capacità di guardare lontano e di intervenire con competenza e determinazione sono ora richieste alle istituzioni e ai soggetti coinvolti per evitare le altrui stangate e minacce. Per far camminare l’Italia al passo, spedito, dei tempi.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi