Il furgone di Münster: l’attacco di un pazzo. Ma siamo fragili

Se non ci fossero già stati gli attentati di Nizza e di Barcellona, di Londra e di New York, il furgone che a Münster, città nord-occidentale della Germania, s’è lanciato a tutta velocità su una folla spensierata, potrebbe anche essere catalogato per quello che è stato: il gesto folle di un tedesco di quarantotto anni con gravi problemi psichici, secondo le ricostruzioni delle autorità tedesche sul conducente che si è ucciso dopo aver ucciso al volante della sua vettura. Passanti falciati senza alcuna colpa, se non quella di volersi godere il bel sole all’aperto in un ritrovo popolare: tre le vittime e una ventina i feriti.

Ma proprio i troppi precedenti delle auto che si avventano su inermi passanti -una modalità criminale un tempo inedita, e che ha insanguinato città e nazioni dell’Occidente negli ultimi anni-, impediscono di tirare un sospiro di sollievo. E’ vero, non di un atto di terrorismo, stavolta, si è trattato. Ma l’orribile azione di un pazzo testimonia la fragilità delle nostre società. Nonostante l’allarme perennemente rosso che continua a suonare ovunque. Compreso il nostro Paese, dove l’attività investigativa di prevenzione, tanto discreta quanto eccellente nei risultati finora raggiunti, conferma il dovere istituzionale di non distrarsi. Di non abbassare la guardia mai. Anche con soluzioni originali e intelligenti, come quella appena adottata per la seconda volta in Italia nei confronti di un quindicenne italiano d’origine algerina. Invasato di violenza Isis e istigatore di jihadismo tramite internet, questo minorenne insospettabile scoperto dalla polizia dopo un anno di complesso lavoro, non è stato affidato ai rigori del carcere, ma alle cure di un percorso rieducativo con un imam chiamato a “deradicalizzarlo”. Una conferma, tra l’altro, che c’è un Islam italiano pronto ad agire per sradicare la violenza dai potenziali violenti, e per integrare i soggetti a rischio nei valori e secondo i principi non negoziabili della nostra Costituzione.

Ma proprio perché con questi problemi dovremo fare i conti a lungo, è importante che, alle spalle delle fatiche investigative e delle speranze rieducative, sia sempre presente uno Stato responsabile e consapevole del pericolo. L’incertezza politica è l’unica cosa che non ci possiamo permettere. Per prevenire e sradicare il male, la stabilità è parte della strategia. Un governo in piena carica serve anche contro la paura, lo spettro che ancora s’aggira per l’Europa.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi