Nelle mani del presidente fra politica e aritmetica

Se si prendesse per oro colato quel che dicono, il governo non si farà neanche alle calende greche. Di Maio vuole dialogare con tutti, ma non con Berlusconi, che è pur sempre il leader di Forza Italia. Anche Salvini mostra grande disponibilità, ma solo sul programma proposto dal centrodestra agli elettori. Non meno “responsabili e costruttivi” i buoni propositi del Pd, che però farà l’opposizione.

E così, a fronte dei tanti “vengo anch’io; no tu no” che i partiti minacciano l’uno con l’altro, facendo valere non i voti, ma i veti, toccherà al presidente Mattarella mettere insieme la politica con l’aritmetica. Posto che, nessuna delle soluzioni finora prospettate dai leader delle varie forze politiche, ha i numeri per ottenere la chiara e stabile fiducia in Parlamento.

Il primo giro di consultazioni appena cominciato poco aggiungerà alla pantomima di chi oggi fa vedere i muscoli all’avversario. Ma ci vuole ben altro per spaventare il capo dello Stato, che si appresta, invece, a seguire la strada istituzionale più lineare e di buonsenso, anziché inseguire i giochini così cari ai partiti, e che portano al vicolo cieco.

Applicando, dunque, esperienza, saggezza e sacro rispetto per la volontà del popolo sovrano -tre caratteristiche che tutti riconoscono a Mattarella-, lo scenario appare complicato, ma in fondo è semplice. Non è difficile immaginare che il presidente, senza perdere tempo e pazienza con incarichi più o meno “esplorativi”, chiederà ai due vincitori, nell’ordine la coalizione di Salvini e il partito di Di Maio, di presentare un programma di governo e di provare a formare una maggioranza capace di realizzarlo in modo concreto e responsabile (perciò senza gli aiutini degli immancabili trasformisti).

Se Salvini o Di Miao -o chi per loro-, ci riuscirà, bene: habemus governo. Ma se l’aritmetica avrà il sopravvento sulla politica, il presidente sceglierà lui una personalità e un esecutivo in grado di ottenere ampi e trasversali consensi in Parlamento. E nessuno potrà aprir bocca, perché sarebbero tutti reduci da sperimentati fallimenti.

Certo, il Parlamento potrebbe sempre negare la fiducia a un governo del presidente nato per necessità. Ma il giorno dopo andrebbe a casa, perché il potere di scioglimento è prerogativa esclusiva del Quirinale. E poi vorremmo proprio vedere deputati e senatori appena eletti, a fronte di un esecutivo autorevole, farsi harakiri per puerile dispetto.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi