Guerra di Putin, come fermare l’orrore senza fine

Da oggi nessuno può più dire “io non sapevo”. Satelliti e testimoni diretti, immagini tv e cronache indipendenti rivelano al mondo intero e attonito l’orrore senza fine in una piccola città -Bucha è il suo tragico nome-, che trasforma la guerra di Putin contro gli ucraini in un delitto contro l’umanità.

“Bisogna processarlo per crimini di guerra”, invoca il presidente americano Biden, mentre l’Ue, incredula di fronte a tanta e tale crudeltà, punta a rafforzare le sanzioni economiche contro Mosca. Ma non ancora -frenano Berlino e Vienna- fino al punto, peraltro sempre più difficile da eludere, di bloccare il gas russo all’Europa, come i più attenti e diversi osservatori, fra i quali l’ex presidente del Consiglio, Prodi, sottolineano: chiudere i rubinetti dell’energia a Putin, sarebbe la sua rovina. La madre di tutte le battaglie economiche per metterlo davvero in difficoltà. E per indurre gli europei a trovare subito una via autonoma e alternativa al perenne ricatto dell’invasore.

Lo scontro si inasprisce, in Ucraina e fuori, dopo la scoperta di fosse comuni con civili ammazzati con le mani legate dietro la schiena, e cadaveri buttati lungo le strade, e testimonianze su donne stuprate e carbonizzate, anziani torturati, bambini uccisi. Un massacro all’insegna del terrore, “ma Bucha è la punta dell’iceberg, a Mariupol è peggio”, denuncia il ministro degli Esteri ucraino, Kuleba.

Mosca prova a negare ogni responsabilità (“messinscena dell’Occidente e Kiev”) e dice: sui crimini di guerra bisogna cominciare “dai bombardamenti in Jugoslavia e l’occupazione dell’Iraq”.

Ma perfino la dura polemica è irrilevante a fronte della disumanità, delle mine anti-uomo disseminate nel Paese, delle stragi di inermi, come ricorda il presidente della Repubblica, Mattarella.

La discesa nell’abisso che il mondo può vedere e valutare da sé, conduce al dovere di non lasciare impunito l’eccidio di Bucha. Già circola una prima lista di carnefici. Prenderli, processarli, punirli.

E poi l’embargo a Mosca, ecco la seconda grande questione.

Se il nostro modo di aiutare un popolo sottoposto a simile violenza significa colpire Putin al cuore del gas, se oltre a sostenere chi si difende, asciughiamo la fonte economica che sta alla base di chi attacca e massacra, e al costo -per noi europei sopportabilissimo- di un inverno più freddo, non c’è altro tempo da perdere.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi