Storie di ordinaria (non) integrazione: l’incredibile lezione di Londra

Quant’è bella la retorica dell’integrazione. Ma poi, appena si va nel concreto, può accadere, com’è accaduto a Londra, che una bimba di cinque anni cresciuta e battezzata da genitori di tradizione cristiana, venga data in affido a due diverse famiglie, una dopo l’altra, di musulmani osservanti. I quali, per prima cosa le tolgono il crocifisso dal collo. E la incoraggiano -bambina inglese che vive in Inghilterra-, a parlare in arabo. E non le fanno mangiare i preferiti “spaghetti alla carbonara”, perché contengono carne di maiale.

Sono divieti e cambiamenti che sradicano la già sballottata creatura. “La bambina piange”, riferisce chi ha potuto visitarla. E i genitori d’origine denunciano i sei mesi da incubo ormai vissuti dalla loro figlia tra una nuova famiglia e l’altra in successione.

Ma attenzione al pregiudizio: qui non c’è accanimento religioso. Così agiscono, non per punire la piccola accolta in casa. Semplicemente, quello è il loro modo di vivere e di pensare. Da tempo tali famiglie si comportavano secondo le loro tradizioni. Le donne giravano col velo o col burqa. E la madre della prima famiglia accogliente si vestiva col niqab, la tunica nera che copre dalla testa ai piedi.

Toccava, invece, all’autorità competente (la circoscrizione, l’assistente sociale, il magistrato?), capire che non si possono stravolgere l’educazione, le abitudini e i sogni di una bambina già in forte difficoltà. Non si possono consentire “lavaggi del cervello”, a prescindere dalla buona fede che va data per scontata in genitori comunque pronti a farsi carico di una bimba e di problemi altrui.

Come avviene spesso, è stato un giornale, il “Times”, a rivelare questa incredibile vicenda nella capitale più multi-etnica del mondo. Ed è polemica, non solo in Gran Bretagna, per la morale di questa brutta favola. La morale di un’Europa che, a parole, evoca incontri tra popoli e fedi, e invoca il sacro rispetto dei propri e secolari valori da parte di chi arriva qui per cercare benessere e convivere in pace.

Ma quest’Europa poi non esita a calpestare i principi in cui dice di credere, abbandonando i suoi stessi figli -i più indifesi tra gli indifesi, oltretutto: i bimbi in affido-, a un integralismo che nulla ha da spartire con la libertà e la parità, cioè con i punti cardinali dell’integrazione nel nostro Occidente. Forse l’aiuto andava dato a queste due famiglie, che faticano perfino a parlare in inglese nella patria di Shakespeare.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi