Guerra di Putin e guerra delle parole

Dopo Bucha, Kramatorsk: di strage in strage la toponomastica dell’Ucraina diventa di conoscenza universale. L’ultima atrocità è il missile che ha distrutto la stazione ferroviaria della città del Donetsk, dalla quale migliaia di innocenti cercavano di fuggire. Più di 50 morti -di cui 5 bambini- e centinaia di feriti dall’attacco russo che i russi, naturalmente, smentiscono: “La colpa dei bombardamenti è di Kiev”.

Ma a Izium -denunciano le autorità ucraine- civili sono stati bruciati vivi, così come a Makarov, zona della capitale, il sindaco accusa: 132 cittadini sono stati uccisi e buttati nelle fosse comuni.

Camminando tra le rovine della guerra di Putin, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, trova a fatica le parole per commentare l’orrore, e prova a riassumere la sua commozione e indignazione con un gesto: la consegna al presidente Zelensky del plico con il questionario che l’Ucraina dovrà e ora potrà compilare per diventare il ventottesimo Paese dell’Unione europea. “Questione di settimane”, assicura la presidente, dando il via al percorso di adesione.

Ma, dopo la guerra dei carri armati, esplode anche quella delle parole. Non potendo nascondere i morti per strada, le testimonianze dei sopravvissuti, le cronache dei giornalisti, Mosca tenta di addossare a Kiev ogni responsabilità per lo scempio quotidiano con tutte le efferatezze (torture, stupri, violenze d’ogni genere) scoperte di ora in ora e di città in città riprese dagli aggrediti.

Tuttavia, una cosa è la propaganda di guerra, becera e faziosa, che accomuna entrambe le parti in conflitto. E poi quando il livello della crudeltà raggiunge simili vette, quando odio chiama odio, muore anche la pietà. La guerra disumanizza tutti, non solo chi l’ha scatenata.

Ma altro è rovesciare la realtà, confondere le carte tra chi invade e chi si difende, prospettare l’inverosimile: gli ucraini che si farebbero male da sé, pur di incolpare i russi. Prospettarlo, oltretutto, in nome di un regime senza contraddittorio come quello di Putin.

“Si dice che alla fine la verità trionfi sempre, ma non è vero”, scriveva Cechov. Eppure, per quanto sia difficile, l’impegno a ricercare, raccontare e ragionare sulla verità dei fatti resta l’unico antidoto contro le bombe della manipolazione e disinformazione.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi