E Mario Draghi alzò l’ultimo scudo

Anche nel penultimo Consiglio direttivo che ha presieduto prima di lasciare la guida della Banca centrale europea, Mario Draghi ha mostrato di che pasta è fatto: arrivano nuove misure per la crescita con una spinta alle banche a dare più credito alle famiglie.

Si va dal taglio ai tassi di deposito -scendono dall’attuale -0,40 % al -0,50- al rilancio del programma di alleggerimento quantitativo (“quantitative easing”) sul sistema economico-finanziario con acquisti di titoli di Stato e obbligazioni corporate per 20 miliardi al mese a partire dal 1° novembre. Quasi un lascito strategico, visto che proprio quel giorno la direttrice uscente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, s’insedierà al posto di Draghi, otto anni dopo.

Le decisioni di Francoforte hanno già provocato l’euforia delle Borse e un calo del differenziale ai minimi dal 2018: 139 punti base fra Btp e Bund. “La Bce fa bene a rilanciare la politica monetaria a sostegno della crescita e a invitare a politiche espansive i Paesi con maggiori spazi di bilancio”, sottolinea il neo-commissario Paolo Gentiloni.

E’ Draghi a spiegare il perché delle scelte per scuotere l’Unione. “Le informazioni in arrivo -spiega- indicano una debolezza dell’economia dell’Eurozona più protratta, importanti rischi al ribasso e un’inflazione debole”. Un’iniezione di fiducia, ma senza equivoci, “perché il nostro pacchetto -ricorda- non permette ai Paesi di fare più deficit”.

Pronta la replica indispettita di Donald Trump, che pure non fa mistero di apprezzare Draghi e di avercela con la sua banca centrale statunitense: “La Bce è rapida, taglia i tassi di 10 punti base, mentre la Fed sta seduta. Stanno tentando, con successo, di svalutare l’euro rispetto al dollaro molto forte, danneggiando l’export americano”. Draghi ribatte: “Abbiamo un mandato a perseguire la stabilità dei prezzi, non abbiamo come obiettivo i tassi di cambio. Punto”.

SuperMario dà così prova non solo del perché sia stimato, e perfino temuto, tra le personalità politiche ed economiche che contano, ma anche di come un italiano possa trattare alla pari con l’Europa della Merkel evitando gli opposti provincialismi: la miope ostilità o la cieca ubbidienza. Col suo comportamento mai sopra le righe e sempre rigoroso, con la competenza e il coraggio che tutti gli riconoscono, Draghi testimonia quanto l’Italia possa guadagnarsi il rispetto del mondo, senza rincorrere demagogie né prestarsi a cortigianerie.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi