Coronavirus, di nuovo in trincea, cent’anni dopo

Oggi come un secolo fa. “Trincea”, “medici eroi”, “caduti”. E poi “nemico invisibile”, “forze sul campo”, “bollettino dei malati”. Tutte le metafore e il linguaggio usati per raccontare “l’offensiva del coronavirus”, riportano dritti al tempo e alla mente della Grande Guerra. Ma allora possiamo anche calarci e per la prima volta capire sul serio -noi, che oggi siamo in trincea contro l’invisibile invasore-, i sentimenti e la condotta dei nostri nonni, bisnonni e trisnonni quando dovettero battersi anch’essi a costo della vita. Per salvare le loro famiglie, i loro paesi e il nostro Paese in grave pericolo per la sua salute, cioè la sua unità e libertà. Ora riscopriamo, rivivendolo per altra e drammatica circostanza, che identico fu lo spirito eroico e comunitario che lo animò. La generazione della Grande Guerra risvegliò un sentimento nazionale latente, ma consapevole nel popolo italiano: la libertà vale quanto la vita. La salute, nostra e degli altri, vale quanto la libertà. Se occorre sacrificarsi per salvare una vita -come ora testimoniano medici e infermieri-, lo si fa a testa alta e col cuore in mano. La tua morte è anche la mia morte: per questo farò l’impossibile per evitarla. Donare ai figli l’amore dei padri per l’Italia e per un’umanità libera e senza più patimenti, ecco la lezione che la storia ci riconsegna. La terza guerra mondiale dell’epidemia che avanza, ma che si dissolve davanti alle fortificazioni casalinghe costruite con intelligenza immaginaria per la difesa, ci fa percepire come poteva battere il cuore di chi si immolò nella ben più terribile Grande Guerra. Stiamo oggi reinterpretando lo spirito della generazione che si sacrificò sul Piave, così come oggi si resiste negli ospedali di Brescia, di Bergamo e di ovunque. Col Tricolore, antica e moderna speranza di rinascita, alle finestre.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi