Coronavirus, i nostri vecchi e la riscoperta di valori e affetti antichi

Prima i nostri vecchi. “Vecchi” è un’espressione ricorrente in America latina per indicare con affetto padre e madre. “Mis viejos”, i miei cari.

Uno degli effetti positivi -positivi non nel senso di “infetti”- del coronavirus e del suo male assoluto è che abbiamo tutti riscoperto non solo il valore della vita, ma il valore della vita di chi l’ha già ampiamente vissuta: i nostri cari vecchi. In nome dei quali ci siamo reclusi in casa. Dopo aver accettato, con senso di sfida, anche l’inevitabile crisi economica che l’epidemia ci lascerà in dono. E dalla quale, sia crisi economica che epidemia, usciremo più forti di sempre. Ma intanto festeggiamo il primato appena stabilito da un’anziana di Fanano, Comune sull’Appennino modenese: grazie al servizio sanitario nazionale la signora è guarita. Ha 95 anni.

Che un’intera nazione si sia ritirata in famiglia per consentire a medici e infermieri, i nostri soldati-eroi sul fronte ospedaliero, di prendersi cura anche della generazione altrove considerata già perduta (causa anagrafe), è il più piccolo, grande atto di umanesimo che l’Italia possa insegnare al mondo. Ancora una volta: tutte le strade portano a Roma. Nell’ora che non perdona, la grandezza di Roma si esprime nel dovere condiviso di dare un letto e una speranza a tutti. Anche ai nonni d’Italia. Dare loro, il letto e la speranza, in Lombardia, dove l’imperativo è “resistere, resistere, resistere!” come sul Piave. O nel profondo Sud, che si prepara alla controffensiva con un cuore grande quanto la sua intelligenza. Nell’ora che non perdona, si torna tutti a essere italiani, e tanto basta per avere la serena certezza della Vittoria.

Certo, in Gran Bretagna alle prese con le piroette su come comportarsi (dal tutto libero e aperto al niente più viaggi e pub), si è già messo cinicamente sul conto che i settantenni dovranno probabilmente sparire dalla circolazione per quattro mesi: li lasceranno e se li dimenticheranno imprigionati nelle loro abitazioni. Lassù si fanno i conti della Sconfitta, prevedendo migliaia di caduti, a cominciare da quelli che hanno già raccontato la storia: i vecchi e abbandonati. Boris Johnson l’ha detto papale papale: “Molti perderanno i propri cari”.

Anche in Germania la Frau dell’universo, Angela Merkel, ha tergiversato a lungo prima di decidere misure di contenimento del virus. L’economia innanzitutto! Sarà per questo che si è scoperto, con quaranta giorni di ritardo, che la fonte del contagio in Europa non era il noto e dagli altri vergognosamente propagandato “focolaio italiano”, bensì un tedesco di Monaco di Baviera? Non un matusa, il paziente zero: ha appena 33 anni. Ma silenzio, qui si produce.

Pure in Francia gli anziani non sembrano essere il pensiero prioritario delle istituzioni. Accanto a scelte simil-italiane (chiusura di scuole e altro), Monsieur Emmanuel Macron s’è ben guardato dal rinviare gli appuntamenti elettorali di domenica scorsa, veicolo di mobilitazione di gente e di potenziale contagio come pochi. La controprova? L’umanesimo d’Italia ha invece spostato di mesi l’importantissimo referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari.

Non è vero, dunque, che nell’”ora più buia” bisogna lasciare i vecchi al loro destino. Dipende dove: in Italia non si fa.

Ecco la moderna dimostrazione di quanta antica civiltà qui sia stata trasmessa e appresa di padre in figlio. Ecco la dimostrazione che, nell’ora che non perdona, il futuro della memoria è il nostro tesoro più ricco e più bello. Sui nostri vecchi non si discute: per loro si combatte.

Non siamo soltanto una grande nazione. Siamo anche un grande popolo.

Pubblicato su Il Messaggero di Roma