Brexit, accordo raggiunto con l’Europa. Ma a Londra i politici non sanno più che fare per uscire dal labirinto in cui si sono infilati

Tre anni dopo il referendum più pazzo d’Europa -quello che, con una maggioranza sul filo, sancì l’addio della Gran Bretagna dall’Ue-, Londra e Bruxelles annunciano d’aver finalmente trovato l’intesa su come lasciarsi. “Sono contento dell’accordo, ma sono triste per la Brexit”, ha detto il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, alla fine di cotanta fatica. E Boris Johnson, il premier inglese che voleva andarsene il prima possibile e a qualunque costo, parla di un “grande nuovo accordo”. Ma regna l’ottimismo incerto.

Gli esperti del lungo braccio di ferro anglo-europeo e conoscitori degli insidiosi cavilli che la complessa e inedita impresa nasconde, scommettono solo al 50 per cento che la stretta di mano farà arrivare al traguardo. E’ quasi lo specchio della divisione a metà già fotografata dall’esito del referendum, che spaccò il Paese in due. E che l’ha, da allora, paralizzato, trascinandolo nel pantano di trattative fallite e polemiche infinite, di bocciature parlamentari a ripetizione e dimissioni politiche che hanno portato Johnson, il più classico dei conservatori atipici, sulla poltrona che fu di Theresa May.

Da Downey Street ora il “trumpeggiante” Boris conta sulla ratifica del Parlamento, che proprio domani sarà chiamato a dare il via libera, “così possiamo passare ad altre priorità”, promette il vincitore per dare la carica alle sue truppe a sostegno di una vittoria che non ha ancora in tasca. Perché al varco lo aspettano i Laburisti, i Lib Dem, i nazionalisti scozzesi e gli unionisti nordirlandesi, tutti schierati contro il compromesso raggiunto per le più svariate e scontrose ragioni.

Secondo Jeremy Corbin, leader dei laburisti, l’accordo siglato è addirittura peggiore di quello negoziato dalla May e a suo tempo respinto a larga maggioranza. Corbin chiede un nuovo referendum, “il miglior modo per risolvere la Brexit”.

Siamo, dunque, a una sceneggiatura tra Kafka e Pirandello, con la politica che in Gran Bretagna continua a dimostrare di non saper più che fare per uscire, più che dall’Europa, dal labirinto in cui s’è infilata.

In ballo ci sono i diritti degli europei nel Regno Unito, i rapporti commerciali fra l’isola e il continente, il confine più o meno aperto dell’Irlanda del Nord con un’Eu priva degli inglesi, l’effetto del divorzio sull’economia britannica. L’ultima puntata di una storia che sta per finire. O che è ancora solo all’inizio.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi