Subire o non subire la procedura di infrazione dell’Europa per eccessivo disavanzo: questo è il problema (del governo italiano)

Cucito e soprattutto ricucito, il Consiglio dei ministri approva il decreto-sicurezza bis. Accompagnandolo con la novità della meritata concessione della cittadinanza italiana a Ramy Shehata e Adam El Hamami, i due ragazzini eroi che il 20 marzo intervennero contro il dirottamento dello scuola-bus a San Donato milanese.

“Habemus decretum”, esulta in latino Matteo Salvini per il provvedimento del governo che intende -spiega il ministro dell’Interno- colpire di più l’immigrazione clandestina e meglio tutelare le forze dell’ordine.

Decreto-legge subito in vigore in attesa della conversione definitiva del Parlamento entro sessanta giorni. Ma non di sola sicurezza vive l’Italia. L’altro rovescio della medaglia si chiama economia. E proprio nelle stesse ore del latinorum di Salvini ecco che si riapre la partita mai chiusa con l’Europa. Contrariamente alle rassicuranti previsioni di Luigi Di Maio (“non credo che andranno fino in fondo), Roma rischia davvero la procedura d’infrazione per eccessivo disavanzo, ammonisce Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione. Secondo il quale il nostro Paese “si sta muovendo in una direzione sbagliata”, e può restare con questa spada di Damocle europea pendente sui conti pubblici “nei prossimi anni”. Non, perciò, un braccio di ferro occasionale, seppur duro e ricambiato, con l’attuale maggioranza gialloverde, ma la prospettiva che l’Italia resti a lungo sotto esame per un problema di credibilità sulle misure annunciate, e soprattutto non attuate, per diminuire il rapporto fra debito e pil.

Il pericolo di tale procedura non è soltanto che si arrivi a una multa dello zero virgola qualcosa sul prodotto interno lordo (scenario peggiore) dopo un procedimento che richiede svariati passaggi. La vera insidia è il litigio senza fine tra Roma e Bruxelles. Potrebbe avere effetti sui titoli di Stato: il differenziale che sale a livelli inaccettabili.

Bene lo sanno il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che confidano in un necessario accordo con Bruxelles, come suggeriscono tutte le maggiori istituzioni italiane ed estere, dal Quirinale alla Bce. “L’incertezza non aiuta, la procedura d’infrazione non è nell’interesse nazionale”, dice anche Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria. Voci e ambienti diversi tra loro, ma concordi sulla priorità che richiedono al governo: la riduzione del debito pubblico.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi