Se in America i figli dei figli decapitano la memoria dei loro padri: Cristoforo Colombo, un grande italiano

Solo i talebani in Afghanistan o l’Isis a Palmira erano arrivati a tanto, a distruggere i monumenti per cancellare la storia. Non s’era ancora visto, in uno Stato democratico e con il beneplacito di una parte della politica -quella più ideologica e perciò faziosa-, che ad essere decapitati, imbrattati o rimossi dalle piazze fosse la memoria di se stessi, come sta accadendo negli Stati Uniti. Dove i figli dei figli ora si scagliano con violenza contro il ricordo dei loro padri, cinquecento anni dopo gli eventi. Nell’America che così si chiama in omaggio ad Amerigo Vespucci, grande navigatore italiano ed esploratore di quel Nuovo Mondo scoperto dal contemporaneo Cristoforo Colombo, divampa la furia iconoclasta contro le statue dedicate all’uomo che andò oltre ogni frontiera. La storia bisognerebbe almeno conoscerla, prima di volerla sradicare: al comando di tre caravelle, la Niña, la Pinta e la Santa María, il 12 ottobre 1492 Colombo sbarcò nel continente che, da allora, gli ha riservato gratitudine. Cominciando col dichiarare giorno di festa l’arrivo di un tale rivoluzionario dei mari. Non per caso considerato l’antesignano dei voli nello spazio dal centro Kennedy di Cape Canaveral, in Florida, che a sua volta lo venera con lungimiranza: le navicelle sono la continuazione delle caravelle. E lo spazio sconosciuto quel sogno “verso l’infinito e oltre” che animò il visionario dell’Oceano, alla ricerca dell’Oriente navigando verso Occidente, come nessuno aveva osato. Ecco perché Colombo “è un patrimonio dell’umanità”, come finalmente ricorda la Farnesina, dopo giorni di aggressioni al simbolo d’America e dei fieri e feriti italo-americani.

Avallando l’epurazione a scoppio ritardato (di ben cinquecento anni!), sindaci o governatori forse sperano di lisciare il pelo alle rimostranze dei nativi d’America per ben altri motivi, dei quali Colombo, d’epoca rinascimentale, è del tutto estraneo. Oppure sperano di cavalcare la rabbia di quanti avversano il presidente Trump per i suoi incredibilmente tiepidi e criticatissimi giudizi sugli scontri sfociati nel sangue ad opera di razzisti e “suprematisti bianchi”. Ma di nuovo: che c’entra il navigatore genovese? Da tempo la storiografia ha rivalutato le civiltà degli Incas, dei Maya e degli Aztechi, mettendo in evidenza tutti gli errori e soprattutto gli orrori della Conquista spagnola. Ma i politici non conoscono la storia. E perciò lasciano ai fanatici del nulla il piacere d’abbatterne i monumenti.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi