Anche tra i Grandi, come sono battezzati i potenti della Terra, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ma alla vigilia del funerale di Francesco, che domani vedrà il mondo riunito a Roma in segno di dolente riconoscenza per il Papa della pace -così è da tutti riconosciuto-, persino Donald Trump è costretto ad ascoltare il rimbombo della guerra che si rifiuta di guardare. E soprattutto, con ostinazione, di capire.
“Vladimir, stop! con gli attacchi a Kiev”, ora il presidente degli Stati Uniti implora con l’esclamativo l’amico russo chiamato per nome, e al quale ha concesso un credito politico e militare inversamente proporzionale a quanto meritato dallo Zar sulla base della realtà dei fatti. Quei fatti che anche ieri si sono incaricati di ricordare agli increduli come Trump a suon di 70 missili e 145 droni contro il Paese aggredito nella notte persino nella sua lontana capitale dal fronte (altri dodici morti innocenti), di che pasta è fatto l’implorato.
Alle esequie Putin non ci sarà. Ma con l’ennesima offensiva contro l’Ucraina proprio mentre l’universo dà l’addio a Francesco e molti dei leader presenti cercano da tempo una via d’uscita alla guerra dei tre anni, l’ombra del grande assente si proietta spietata su Piazza San Pietro.
“Vladimir, fermati”, dunque. Ma se non si ferma, com’è evidente?
Di fronte agli attacchi massicci e incessanti, l’appello quasi accorato del presidente nordamericano, che aveva puntato tutto sulla strada diplomatica a senso unico, cioè prendendo per buono il solo punto di vista putiniano e premendo sull’aggredito Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, perché lo accettasse, cambiano le volatili carte in tavola.
Adesso rivela tutta la sua evanescenza l’idea statunitense di poter ammansire l’invasore riconoscendogli di diritto i territori che s’è preso violando il diritto. Adesso Trump è chiamato lui a rivedere una posizione insostenibile, come gli ripetono gli inascoltati alleati occidentali. Specie dei Paesi europei, i più interessati alla fine della disumanità armata alle porte di casa.
L’omaggio dei Grandi a Francesco sarebbe il momento giusto, nel posto giusto e in nome dell’uomo giusto per seminare almeno un percorso di tregua per la “martoriata Ucraina”, come il Papa l’evocava.
Ma la tregua si fa in due, pur coltivata da tutti gli altri. Davanti al plateale diniego dell’aggressore che interloquisce con le bombe, sarebbe già un passo in avanti far valere tra i presenti al funerale un altro concetto che tanto stava a cuore al Papa della misericordia: il concetto della verità.
Se domani nei colloqui paralleli che la diplomazia riserva a quelli che vogliono parlarsi, appartati, si stabilisse il principio di rispettare la verità, non potendo ancora germogliare il valore della pace, ecco che prenderebbe forma uno dei grandi messaggi lasciati da Francesco al mondo. Dirsi come stanno le cose, sempre.
Ma dirle soprattutto a Trump. Colui che forse avrà più bisogno, fra le personalità richiamate a Roma, di un umile bagno francescano non solo sulla guerra di Putin.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova