Se Mario Draghi farà da sé

Grazie, faccio da me. Con ironia Mario Draghi ha confermato quanto sia lontano dalle manovre dei partiti, ma vicino alla politica chiamata ad agire al tempo della ripresa. Come il bravo Figaro di Rossini, che tutti lo cercano e tutti lo vogliono, il presidente del Consiglio è consapevole della posta in gioco. Tuttavia, si guarda bene dal mettere a rischio il patrimonio per cui è corteggiato nel Palazzo, e che è rappresentato, certo, dalla competenza a lui riconosciuta in Italia e all’estero, ma soprattutto dall’indipendenza che è finora riuscito a far valere alla guida di un governo “di unità nazionale”, cioè con dentro Lega e Forza Italia accanto a Pd e M5S: gli opposti che stanno insieme per amor di Patria. Oltre che per conclamata impossibilità parlamentare di fare maggioranza ciascuno schieramento da sé.

Perciò, a chi gli domanda se potrà essere lui il punto di riferimento di un futuro Centro di gravità permanente, la solita e vuota alchimia che la politica ricicla quando destra e sinistra entrano in crisi, ossia spesso, Draghi non cade nella trappola: “Lo escludo”, taglia corto. E poi racconta quasi divertito che molti politici, “mostrando una sollecitudine straordinaria”, lo candidano a svariate cose (anche se a quella più importante, il Quirinale, è stata proprio una parte del mondo politico a sbarrargli la strada). E così chiude la questione del suo dopodomani: “Vorrei rassicurare che, se decidessi di trovare un lavoro dopo questa esperienza, lo troverei da solo”.

Forse significa che Draghi è già stanco della stanza dei bottoni in cui siede, e dove il suo decisionismo mal si concilia col dovere di mediare?

Sarebbe riduttivo pensare che Palazzo Chigi gli stia stretto, avendo oltretutto l’ala protettiva di Mattarella al Quirinale e il conforto della maggioranza degli italiani, che si sentono rassicurati dal tandem istituzionale a cui i partiti sono stati costretti per litigiosità e incapacità: mai esito politico fu più utile per il Paese.

Ciò che Draghi vuole, invece, schivare è il chiacchiericcio improduttivo dei partiti, anziché la sfida al caro bollette e alla pandemia: vera preoccupazione dei cittadini.

Dunque, il duro diniego di Draghi non è anti-politico e il suo nome rimarrà comunque all’orizzonte anche per la prossima legislatura. In fondo manca solo un anno e un anno non basterà né per consolidare la ripartenza né per ricostituire robusti schieramenti politici fai da te.

Draghi e Mattarella: destinati a restare a lungo una risorsa per l’Italia.

Pubblicato su Il Giornale di Vicenza