Se l’Italia non fa più figli e la politica sta a guardare

Ora anche l’Istat certifica quello che vediamo nei reparti di maternità o nei parchi: culle desolatamente vuote e sempre meno bambini che corrono spensierati. L’Italia s’è fermata a un tasso di natalità di 1,32 figli in media per donna, a fronte del 2, che assicurerebbe il naturale ricambio delle generazioni. Siamo a un nuovo e drammatico minimo storico dall’Unità, addirittura: 439,747 neonati nel 2018, quasi ventimila in meno del già calante anno precedente.

La crescita zero, che ormai potremmo battezzare sottozero tanto essa è persistente e grave, risulta inferiore ai decessi che si registrano ogni anno. E delinea da tempo una tendenza nefasta, eppure non irreversibile. Basterebbe che i governi e il Parlamento intervenissero con atti politici e legislativi -come sono intervenuti in Francia e in Germania, incentivando e premiando le nascite-, per arrestare un declino che, altrimenti, rischia di creare danni permanenti. Minando, prima di tutto, il sentimento della speranza, che è il tesoro d’ogni comunità: fare figli è un atto d’amore anche verso un mondo che si spera migliore. Significa tramandare il futuro della memoria.

Invece, al di là delle solite parole di rito sugli asili nido da potenziare e sulla reale parità nel lavoro tra uomo e donna, al di là degli slogan sui nuclei numerosi da detassare o sull’incoraggiamento fiscale, economico, di crediti bancari, di contributi a chi “mette su famiglia” (tra l’altro famiglie sempre più piccole: una su tre è oggi formata da singoli), nessuna politica di lunga visione è mai stata curata per invertire la crisi demografica. Che è anche crisi democratica, perché una società che arretra, fatalmente comprime ogni risorsa, dalla previdenziale all’assistenziale, dall’educativo-scolastica alla sportiva, all’idea stessa dello stare insieme. Se si è sempre di meno, si riducono pure le opportunità di competere con le società a noi vicine, in particolare europee, che hanno subìto lo stesso crollo demografico tipico di un continente benestante e invecchiato, e tuttavia hanno saputo reagire con misure forti e strutturali.

Né consola il rovescio della medaglia: l’Italia è uno dei Paesi con più anziani al mondo. Un dato: i 65enni e oltre battono i minori di 15 anni.

Ma l’insostituibile binomio nonni/nipoti rischia d’essere spezzato. Se la politica continuerà a non capire che, per diventare grande, è nei bambini che deve credere e investire.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi