Ma il futuro del governo non è nelle mani di Conte

Con quel tono rassicurante che è la sua principale e riconosciuta caratteristica (l’unica polemica l’ha riservata all’”insidiosa idea di leadership di Matteo Salvini”; ma anche questo era scontato), Giuseppe Conte ha tratto le somme dei quasi quattro mesi di governo giallorosso da lui presieduto. Chiarendo subito, nella tradizionale conferenza-stampa di fine anno, che non ha intenzione di inventarsi un nuovo partito. E che, da gennaio, il suo esecutivo vorrà impegnarsi in una politica di grande rilancio del Paese, “una maratona di tre anni per il piano di riforme”. Così confermando, però, che, almeno finora, la maggioranza di quadripartito s’è dedicata solo all’essenziale, portando a casa una legge di bilancio che non passerà alla storia e reggendo l’urto con un’opposizione che ambisce alla rivincita elettorale.

Né l’annuncio dei due nuovi ministri Lucia Azzolina alla Scuola e Gaetano Manfredi all’Università e alla Ricerca al posto del dimissionario Lorenzo Fioramonti già alla guida dell’ora sdoppiato ministero dell’Istruzione o la prospettiva di voler presto cambiare i decreti-sicurezza possono rappresentare l’evocato cambio di marcia: il destino del governo non dipende dalle sole mosse del presidente del Consiglio. Lo sa lui per primo, che ha chiesto agli alleati in perenne subbuglio di fare, invece, fronte comune, evitando la frammentazione dei gruppi parlamentari a sostegno della maggioranza.

Ma all’orizzonte già affiorano i rischi per la solidità dell’esecutivo. Si va dal referendum sul taglio dei parlamentari al voto diventato ormai politico nelle elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria. Passando per la richiesta di autorizzazione a procedere per sequestro di persona a carico di Salvini (nave Gregoretti): il Senato dovrà pronunciarsi e la maggioranza potrebbe rivelarsi meno compatta di quanto già non appaia.

Dunque, il governo naviga tra gli scogli e solo l’avvio concreto di una politica stabile, coerente e duratura in particolare in economia -prima ancora che sulla giustizia con la patata bollente della prescrizione-, potrebbe aiutarlo a superare gli ostacoli in successione.

Ma Di Maio, Zingaretti, Renzi e Speranza, i quattro leader a sostegno del Conte 2, hanno un’idea comune per crescita e lavoro, per abbassare davvero le tasse? E avranno la forza politico-parlamentare per realizzarla, a prescindere dall’incognita degli eventi in arrivo?

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi