Se il Senato manda Salvini a processo

Agosto dell’anno scorso: per 19 giorni 107 migranti, soccorsi dalla nave spagnola Open Arms nelle acque della Libia, rimasero al largo di Lampedusa. Malta aveva rifiutato lo sbarco e la Spagna aveva offerto un approdo considerato lontano dall’Ong alla guida dell’imbarcazione.

Fra il no degli uni e degli altri, s’inserì il gran rifiuto di Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno e paladino dei porti chiusi per l’immigrazione illegale. Intervenne, dunque, un magistrato e dispose il sequestro preventivo della nave e, previo accertamento medico delle condizioni dei viaggiatori, la discesa di tutti a terra.

Fu, dunque, sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio da parte di Salvini, come ipotizza il tribunale dei ministri di Palermo, che nel frattempo aveva chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere contro l’ex responsabile del Viminale?

L’interrogativo avrà una risposta. Ribaltando il diniego della Giunta competente, l’aula ha detto di sì (149 contro 141): processatelo. “Rifarei e rifarò tutto”, commenta lui.

Fin qui la cronaca. Ma dare il via libera perché possa finire sul banco degli imputati il principale leader dell’opposizione, e per una decisione presa nell’esercizio delle sue funzioni, non è solo un fatto di cronaca. Lo conferma la contrapposizione politica tra favorevoli e contrari che è già riesplosa, e che rispecchia le inconciliabili posizioni sull’immigrazione fra chi antepone l’umanità per chi arriva e chi la sicurezza per chi riceve. Due valori, umanesimo e legalità, che dovrebbero essere inscindibili per tutti. Invece no: è più comoda la lotta di pura ideologia fra chi strumentalizza la paura e chi considera irrilevante il risvolto sociale, economico e di integrazione dei migranti in Italia e nell’Europa senza la più pallida idea sul da farsi.

Purtroppo la politica non riesce a fare quel salto di qualità che la grande questione esige, specie in tempo di coronavirus.

Governare la migrazione è la sola strada civile e sicura. Ma nessuno è capace di farlo, né a Roma né a Bruxelles. Gli operatori militari e civili sono alla mercé di indirizzi politici altalenanti, tesi solo a trovare una soluzione nelle prossime 24 ore per un fenomeno che durerà anni.

Quando la politica si fa sull’onda, senza orizzonte, del no agli sbarchi contro il sì all’accoglienza, come una partitella, tutti perdono il senso della drammatica sfida in ballo.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi