Roma ha avuto Re e imperatori, sindaci e Papi, presidenti del Consiglio. Eppure mai un “suo” presidente della Repubblica

Per sciogliere il grande enigma (chi sarà il prossimo presidente della Repubblica?), si può ricorrere ai giochi della politica o alle sfide dell’economia. Si può invocare il dovere della guerra giusta contro il Covid o evocare la tiritera di “quel che vuole l’Europa”. Si può cogliere “quel che vogliono gli italiani”, gli unici ad avere titolo attraverso i loro eletti in Parlamento per stabilire chi dovrà rappresentare l’unità nazionale per sette anni di fila. Dai primi di febbraio 2022 fino al 2029.

Ma, nell’attesa di scoprire come si risolverà il rompicapo, c’è almeno una certezza che vale per tutti nel viaggio con destinazione Quirinale: quel che già dicono la storia e l’aritmetica. I nomi e i numeri separati dalle opinioni.

I nomi e i numeri, dunque, ricordano che Roma ha avuto 7 Re e decine di imperatori. Ha conosciuto 266 Papi. Ha battezzato sindaci in serie dal Regno d’Italia in poi e 4 presidenti del Consiglio “romani” nell’era della Repubblica (sui 30 che si sono avvicendati). Nell’ordine di apparizione a Palazzo Chigi: Giulio Andreotti, Massimo D’Alema, Paolo Gentiloni e Mario Draghi. Il primo nel 1972, il quarto in carica. Dalla notte dei tempi a oggi, tutti uomini, per la cronaca e per offrire un po’ di nuova, antica legna al fuoco ardente sulla parità di genere.

Ma nel racconto universale di Roma, di pagina in pagina manca un solo capitolo: il capitolo del Quirinale. Dove Papi e Re sono stati a lungo di casa. Però mai un presidente della Repubblica nato a Roma ha finora varcato tale soglia. La più alta. Nessuno dei dodici capi di Stato che si sono succeduti dalla nascita della Repubblica -dal primo e provvisorio Enrico De Nicola nel 1946 all’attuale Sergio Mattarella-, proveniva dalla capitale d’Italia. E neppure dal Lazio.

Per la statistica, la classifica è guidata a pari merito da Piemonte e Campania (tre a tre: Einaudi, Saragat e Scalfaro versus De Nicola, Leone e Napolitano), due sardi -Segni e Cossiga-, due toscani, cioè Gronchi e Ciampi, il ligure Pertini e il siciliano Mattarella.

La Città davvero Eterna dei Re, degli imperatori, dei Papi e dei capi di governo non ha ancora espresso un “suo” presidente della Repubblica. Caput mundi, ma senza capo di Stato.

Forse il curioso paradosso sta venendo meno da quando circola il nome del romano Mario Draghi tra i candidabili più accreditati. A prescindere dalla sua scelta (lui non s’è ancora pronunciato) e dalla sovrana decisione dei legislatori elettori in seduta congiunta delle Camere, per Roma la sola ipotesi che un suo figlio sia considerato un forte candidato per il Colle, è già un’insperata rivincita dopo 75 anni di storia senza romani al vertice della Repubblica. Riflessione che vale per lui e ovviamente per qualunque altro candidato nato, cresciuto o adottato dalla capitale d’Italia.

Peraltro, l’eventuale Draghi sarebbe la terza figura, dopo Luigi Einaudi nel 1948 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999 ad avere avuto anche lui la preziosa esperienza della Banca d’Italia quale fucina di alta amministrazione istituzionale alle spalle. Il Quirinale farebbe tredici, aggiornando la sua storia presidenziale: tre economisti –comprendendovi Draghi per ora come pura ipotesi-, in alternanza con dieci presidenti politici. Tredici presidenti, sempre che, intrappolati fra voti e veti da fumata nera o grigia, i partiti non corrano da Mattarella, supplicandolo di soprassedere al “non possumus” già da lui pronunziato. Nel caso, dodici presidenti più un bis.

Fra candidati veri, presunti o desunti la corsa al Colle è intanto cominciata. Chissà se tutte le strade del Quirinale porteranno, stavolta e per la prima volta, a Roma.

Pubblicato su Il Messaggero di Roma