C’era una volta Schengen, o forse c’è ancora. Certo è che dopo il ripristino dei controlli alle frontiere in Svezia e in Danimarca, e la tentazione della Germania di fare altrettanto, e la costrizione della Francia a chiudere tutto e subito nelle ore del drammatico 13 novembre, l’interrogativo è inevitabile: che Europa potrà mai restare in piedi se, un pezzettino dopo l’altro, si sbriciola la colonna portante della libera circolazione di persone tra i ventisei Paesi che avevano aderito al trattato o alla sua area geografica? L’Europa senza confini è il cardine stesso dell’integrazione. Non è un semplice caso se, quando si viaggia, non c’è più bisogno di esibire il passaporto alle autorità: è la novità principale della grande svolta fra gli Stati e i popoli da quasi trent’anni. Nessun europeo si senta straniero nella patria comune. Lo “spazio Schengen” è il trattato che ha realizzato il sogno della riconciliazione e della speranza. Erasmus è il progetto più bello e romantico che ha permesso a generazioni di ragazzi di incontrarsi, di conoscersi, di arricchire i loro studi. Ma Erasmus è proprio il frutto ormai maturo di Schengen, cioè di un’Europa che non ha paura né di mettersi in cammino né di spalancare le sue porte, accogliendo il viandante come se fosse, ovunque si trovi, sempre a casa sua.
Se invece basta un’ondata di immigrazione, pur anomala ma prevedibile e controllabile, per infrangere il sogno realizzato con tanta fatica e lungimiranza, ad andare in frantumi sarà l’idea stessa di Europa. Se torniamo agli Stati pre-unitari dell’Unione europea, se crediamo che rimettendo il poliziotto alla frontiera risolviamo d’incanto il fenomeno biblico di chi scappa dalla sua terra, rischiamo di non comprendere il problema-migrazione e di disorientare i cittadini: ma come, di nuovo il passaporto, trent’anni dopo? Possibile che l’Europa non sia capace di identificare e distribuire gli immigrati non europei sul proprio suolo continentale e, in compenso, torni a identificare i suoi cittadini, quasi fossero loro la causa di quel che non va? Così l’Europa fa harakiri, altro che spinte populiste, cieco rigore economico o miopi burocrati a Bruxelles. Il ministro Alfano ha già dichiarato che l’Italia non intende imboccare il vicolo cieco degli altri. Intanto Schengen sarà oggetto di un vertice europeo straordinario. Non fare, ma disfare l’Europa: chi l’avrebbe detto che sarebbe stata questa l’insidia più temibile dell’appena cominciato 2016.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi