Quel pasticciaccio brutto del redditometro

Quel pasticciaccio brutto del redditometro non c’è più. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha annunciato d’aver sospeso il decreto che era stato appena introdotto dal “suo” viceministro all’Economia, Maurizio Leo, per rendere meno arbitrario il controverso strumento di accertamento indiretto e sintetico dei redditi.

La polemica che era subito esplosa sia all’interno della maggioranza, sia da parte delle opposizioni contro il centrodestra, accusato d’aver ridato vitalità a un meccanismo da sempre contestato, ha spinto alla rapida marcia indietro. Anche perché incombe il voto europeo, che non consente incoerenze o incertezze rispetto all’approccio induttivo e alla logica invasiva del discusso meccanismo. Un’arma fiscale che troppo spesso s’è rivelata impotente per scoprire e colpire gli evasori, ma in compenso vessatoria nei riguardi dei contribuenti onesti, cioè la maggioranza degli italiani. Nell’era digitale non possono essere rilevatori borbonici su redditi presunti ad accertare il leale comportamento dei cittadini.

Altolà al redditometro e allarme dell’Abi, l’associazione del mondo bancario, sul superbonus. Che mette a repentaglio i conti dello Stato, ma anche le scelte di famiglie, imprese e condominii “colpevoli” solo d’aver rispettato le regole. Regole che il governo è stato chiamato a modificare per evitare disastri sul debito pubblico.

Ma Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, paventa il pericolo dell’insolvenza per coloro, persone o aziende, che alle banche avevano fatto affidamento per le ristrutturazioni. Perché banche e assicurazioni, che sono -ricorda Patuelli- i maggiori acquirenti dei crediti fiscali, rischiano di doversi fermare, “dato che è stato ridotto l’ambito di compensazione”.

Per uscire dal circolo vizioso di una misura a suo tempo -il tempo della pandemia- opportuna e condivisa, ma che poi non è stata applicata né controllata con rigore per evitare truffe e, soprattutto, per impedire la voragine nei conti pubblici (dai 34 miliardi in origine la previsione di spesa è deflagrata a 160), il governo ha dovuto correre ai ripari.

Ma i nuovi e più stringenti criteri spostano da 4 a 10 anni il periodo per detrarre le spese del superbonus già a partire dal 1° gennaio 2024. Dunque, una norma retroattiva che impone molto più tempo, a chi s’è già impegnato, per il rimborso spettante.

Da qui la doppia esigenza: come salvare i conti dello Stato, senza sacrificare i conti degli italiani che alla Legge si sono attenuti.

Serve una terza via legislativa fra il dovere di salvaguardare il futuro economico della Repubblica, cioè dei nostri figli e nipoti, e quello di non farlo a spese dei contribuenti che si sono fidati e affidati a quanto la Repubblica aveva stabilito. Per dirla col linguaggio bancario, “l’invenzione di un veicolo che sia in grado di coinvolgere risorse pubbliche e private fuori dal bilancio dello Stato, e che diventi acquirente dei crediti”.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova